Parte 7

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Quando qualche ora più tardi Persefone raggiunse la prigione di rose, vide attraverso di esse Ade sdraiato sull’erba e guardare il cielo con gli occhi socchiusi, il chitone sollevato da gambe e braccia come se stesse prendendo il sole.

Sembrava in pace con se stesso. Rilassato. In effetti, non l’aveva mai visto davvero disperato da quando lo aveva imprigionato. Aveva cercato di uscire una volta, ma non ci aveva più provato dopo.

Non era certa Ade conoscesse la disperazione: non aveva mai rischiato di perdere qualcosa di così importante da farlo disperare. Non aveva mai posseduto qualcosa di così importante, probabilmente.

Non aveva una donna o un uomo che lo attirasse tanto da farlo supplicare di averlo. Governava un regno che non aveva richiesto e che gli era solo stato assegnato. Non aveva nulla di cui disperarsi.

Non lo aveva visto disperato nemmeno il giorno prima, quando aveva detto che non lo avrebbe lasciato uscire. Forse un po’ preoccupato, ma nulla di più. Non era convinta lui volesse andarsene.

Girò attorno alla prigione finché non arrivò al cancello che faceva da entrata. Un sussurro e il cancello di aprì, facendola entrare.

Osservò Ade mettersi a sedere e girarsi verso di lei, e lo osservò aprire leggermente di più gli occhi quando vide che era dentro con lui.

Aveva una cesta con sé, e sotto braccio aveva una coperta.

Chiuse il cancello, poi lo raggiunse e gli sorrise. Non c’era nulla che le piacesse come vedere come si incantava quando lei sorrideva.

Avrebbe voluto vedere il suo sorriso. Era certa fosse bellissimo.

«Stavo pensando che potevamo fare un picnic sotto al gazebo. Che ne dici?» disse mostrandogli il cestino.

«Lo chiedi come se potessi dirti di no.» rispose Ade, ma si alzò comunque da terra e la seguì sotto al gazebo.

La dea stese la coperta, totalmente bianca, e si sedette su di essa appoggiando il cestino accanto a sé. Dopo un momento in cui rimase ad osservare la coperta, Ade prese posto di fronte a lei, le gambe piegate alla sua destra.

«Non eri mai venuta qua dentro di persona.» commentò il dio degli inferi, osservandola tirar fuori un grande piatto e riempirlo di frutta. Frutta fresca, che aveva l’aria invitante.

Gli dei non avevano bisogno di mangiare spesso quanto gli umani e si nutrivano principalmente di nettare e ambrosia. Nonostante ciò, Ade era da una settimana che beveva dalla fontana che era alle spalle del gazebo e non toccava cibo; non poteva negare di avere un discreto appetito.

Ma sapeva che c’era qualcosa sotto; gli conveniva andarci piano.

«Sai com’è, gli dei si sono finalmente accorti della tua assenza.» rispose lei prendendo un’arancia e iniziando a sbucciarla. «Serviti pure.»

Ade la scrutò, poi prese un grappolo d’uva bianca e ne staccò un chicco, mettendoselo in bocca. Il sapore gli esplose in bocca, intenso e sconosciuto. Quando lo ebbe mandato giù riuscì a rispondere: «Se ne sono accorti? Questo sì che sarebbe una sorpresa.»

«Ermes mi ha riferito che Zeus credeva ti fossi ribellato al tuo ruolo e avessi voltato le spalle al tuo dovere. Gli è sorto il dubbio quando non è riuscito ad individuarti o a convocarti.»

«La tua gabbia di rose può bloccare anche i poteri di Zeus, dunque? Ti devo davvero fare i miei complimenti, è un lavoro fatto ad arte.» disse Ade alzando entrambe le sopracciglia per la sorpresa. Sorpresa e forse ammirazione vera e propria.

«I poteri di Zeus non sono nulla in confronto ai tuoi, Ade, e quando Ermes mi ha detto che credevano avessi abbandonato il tuo posto di tua spontanea volontà, mi sono anche un po’ arrabbiata. Nessuno ha davvero fiducia in te, non è così? Eppure sei il dio più potente.»

Girasoli || Ade e PersefoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora