Tenui raggi di sole penetravano dalla finestra lasciata semi aperta la sera precedente, nella vana speranza di poter attenuare quel calore che non aveva nulla a che fare con il meteo - essendo per di più appena febbraio - ma che sembrava far bruciare la stanza dalle spoglie pareti dal colore bianco sporco. Le ombre dei rami si riflettevano maestose sul lenzuolo bianco lasciato cadere ai piedi del letto, un groviglio di vestiti e cartacce appallottolate ricopriva gran parte del parquet in legno – che aveva preso a scricchiolare ormai già da tempo – e la custodia di una chitarra era abbandonata da tempo accanto alla scrivania bianca, unico oggetto sgombro da caos in quel turbine di disordine e disastro, che contrastava nettamente con la seggiola rossa posta di fronte e ricoperta da buste di cibo d'asporto e due giacche sgualcite che sarebbero dovute essere nell'armadio ma, questo, era fin troppo in disordine e pieno per poter contenere anche solo un calzino in più e nessuno si era mai preso la briga di dargli una sistemata, così come al resto della stanza, lasciando che il caos facesse da sfondo a tutto quanto avveniva tra quelle mura.
Era appena l'alba eppure il mondo sembrava più vivo che mai, fuori tutto sembrava tranquillo, ancora avvolto da un dolce sonno mentre le stelle lasciavano il posto a chiare nuvole che sembravano promettere una serena giornata, ma in quella stanza il tempo aveva preso a scorrere più veloce che mai, i secondi sembravano inciampare tra una vecchia rivista e una polaroid lasciata ad ingiallire mentre i ricordi sbiadivano sempre di più, tornando poi, di tanto in tanto, come lame pronte a conficcarsi nella viscere del legittimo proprietario.
Quella stanza era un posto magico, o almeno era come piaceva definirla al suo proprietario, il tempo diventava inutile, solo uno stupido dettaglio di chi aveva bisogno di scandire la vita in assenza di momenti felici, eppure ad un certo punto - un triste punto - il tempo diventava la cosa più importante che potesse esserci, i minuti si susseguivano a ritmo folle portando via la luna e restituendo un sole che, semplicemente, non poteva capire. Non poteva capire la bellezza della notte, dei segreti che distruggono e danno vita, la bellezza dell'innocenza che si disperdeva tra parole sussurrate e baci rubati, carezze delicate e pensieri troppo grandi per essere contenuti in quella piccola stanza. Sì, quella stanza era un posto magico, uccideva di giorno e restituiva la vita di notte, lontano da occhi indiscreti, al buio tutto rinasceva.
-"Mh..." Un lieve mugolio vibrò tra quelle pareti, mentre la luce diventava più intensa e con essa le ombre. "Chiudi la finestra." Le parole riecheggiarono ovattate, dato che la persona che le aveva pronunciate aveva il volto schiacciato contro il cuscino bianco e freddo. "Fa freddo." Aggiunse con voce assonnata.
Dalla finestra, ora più aperta a causa del vento, si stava diffondendo tra quelle quattro mura una corrente d'aria gelida che fece raggomitolare su se stessi i due corpi che occupavano il letto sfatto.
La persona che aveva parlato non ottenne alcuna risposta, chi gli dormiva accanto sembrava non avere alcuna intenzione di muoversi nemmeno di un millimetro.
-"Mi ascolti?" Chiese e strinse un po' di più il cuscino tra le braccia.
Ancora nessuna risposta.
Il ragazzo, con il corpo niveo la cui purezza era macchiata da un tatuaggio fatto tempo prima sulla spalla in un momento di ribellione, a quell'ennesima non risposta alzò il capo e si voltò a guardare la persona accanto a lui.
-"Cazzo, sembri morto." Disse e non poté trattenere una leggera risata roca.
Con non pochi sforzi il ragazzo si mise a sedere con le gambe che pendevano fuori dal letto e si passò una mano sul volto stanco, mentre l'altra era poggiata sulla sua gamba destra, tirò un lungo sospiro e si alzò dal letto per poi raggiungere la finestra - che si trovava alla sua sinistra - e con un tonfo la richiuse.
-"Quando imparerai a chiuderla prima di andare a dormire?" Chiese e alzò gli occhi al cielo, mentre si beava della nuova sensazione di calore che si infrangeva sulla sua pelle.
-"Quando smetterai di dormire qui con me."
Quelle parole fecero sobbalzare il giovane dal fisico tonico, convinto ormai che l'altra persona stesse dormendo, ma allo stesso tempo sorrise, perché non poteva fare altro quando si parlava di lui.
-"Allora non stavi dormendo." Commentò. "E perché non mi hai risposto?"
-"Così avresti chiuso tu la finestra." Replicò l'altro e, lentamente, rotolò sino a ritrovarsi disteso supino. "Come sempre."
-"Come sempre." Sussurrò l'altro, valutando bene il peso di quelle due parole che, in quel contesto, sembravano diventare mille.
La loro era una situazione che aveva dell'incredibile, del folle forse, anche qualcosa di sbagliato, eppure nel bel mezzo di una tempesta erano riusciti a creare delle loro abitudini, qualcosa a cui appigliarsi, qualcosa da ricordare e da rivivere come se fosse sempre la prima volta, qualcosa di loro che condividevano e mai nessuno avrebbe potuto portargli via, nemmeno il tempo. Qualcosa che sarebbe rimasto per sempre chiuso in quella stanza dei segreti.
-"E come sempre io devo andare via." Disse il ragazzo accanto alla finestra e si abbassò a recuperare i suoi boxer, per poi lanciare all'altro anche i propri.
-"Che ore sono?" Chiese quello e gettò una veloce occhiata al cielo che si stava tingendo di arancione e rosa chiaro.
-"Ha importanza?"
A quello sdraiato venne da sorridere e scosse la testa.
-"No." Disse. "Non per me." Aggiunse. "E vorrei non lo avesse nemmeno per te, anche se solo per una volta." Concluse e alzò gli occhi verso il soffitto.
Il ragazzo alto – decisamente alto – si morse il labbro e si avvicinò al letto fino ad entrare nella visuale del suo interlocutore e allungate una mano per accarezzargli il viso.
-"Non si può, Manuel." Sussurrò lui e l'altro, Manuel, riuscì a leggere sul suo volto la delusione, il dispiacere eppure non riusciva a crederci. Perché fare qualcosa contro la sua volontà? Nessuno lo costringeva, tantomeno lui. "Non ancora."
-"Non ancora? Sul serio?" Replicò lui e, di scatto, si mise a sedere rischiando di colpire l'altro. "Non dire cose di cui non sei convinto, Simone." Disse. "Non ancora. Non ora. Non mai."
Simone sospirò - si ritrovò per un momento a pensare che anche quella era una cosa loro, in sua presenza non faceva altro che sospirare, non ne conosceva il motivo eppure succedeva - e si sedette accanto a lui.
-"Possiamo evitare di parlarne?" Gli chiese, addolcendo il tono di voce, e con la mano scese ad accarezzargli il petto. "Per favore."
Manuel scosse la testa ma non disse nulla, sapeva sarebbe stato inutile, avevano affrontato quella conversazione decine di volte e decine di volte lui aveva lasciato cadere l'argomento, troppo impaurito di ciò che avrebbe potuto significare affrontate la realtà.
Manuel non era una sua priorità, non si era mai sentito tale e aveva imparato ad accettarlo, non gli chiedeva nulla se non il loro come sempre.
-"Le cose cambieranno, un giorno, te lo prometto." Continuò a dirgli Simone e si sporse verso di lui a dargli un bacio a stampo.
-"E se non ci piacessero più?" Replicò Manuel. "Se cambiando le cose cambiassimo anche noi?"
Manuel aveva sempre avuto una concezione strana del tempo, lo spaventava e lo attraeva simultaneamente. Avrebbe passato una vita ad osservare il mondo andare avanti, a vedere le cose cambiare ma non appena si fermava a pensare che cosa quel cambiamento significasse l'ansia aveva la meglio su di lui, gli sembrava di non riuscire più a respirare, di perdere il controllo del suo corpo e soprattutto della sua vita, si sentiva un granello di sabbia in una spiaggia pronto ad essere spazzato via al primo soffio di vento, eppure c'era qualcosa che lo teneva con i piedi per terra, una speranza. Del resto, anche un granello spazzato via dal vento, prima o poi, approda da qualche parte, no? Si tratta solo di viaggiare, un viaggio continuo e tortuoso eppure che aveva una meta, bisognava solo chiudere gli occhi e avere il coraggio di osare, di lasciarsi andare e questo Manuel lo aveva capito quando aveva incontrato la persona che gli stava, in quel momento, di fronte. Simone era il suo soffio di vento e lui era il suo granello di sabbia in balia dei suoi capricci.
-"Tu mi piaceresti in qualsiasi caso." Rispose Simone, per poi prendergli il viso tra le mani. "Quello che abbiamo è strano, è vero, però mi piace e mi piace perché ci sei tu." Aggiunse e gli accarezzò le guance con i pollici. "Non devi aver paura, Manuel, non di me." Sussurrò. "Non mi stancherò di questo."
-"Non farmi promesse, te ne prego." Sospirò, improvvisamente esausto, Manuel come se le poche ore di sonno delle ultime settimane gli fossero piombate tutte addosso in quel momento. "Non voglio ascoltarle, non voglio illudermi e non voglio essere deluso. Non da te, non sono pronto per questo."
-"Sei una cosa bella, Manuel."
Manuel avrebbe voluto gridargli che lui non era una cosa, era una persona ma si trattenne, per lui era disposto anche ad essere definito in oggetto, era disposto a tutto ma non ad ammetterlo.
-"Ho finito il latte." Disse il ragazzo dai capelli castani, cambiando totalmente argomenti. "Non ho nulla per fare colazione."
-"Vorrà dire che la farò al bar." Rispose il corvino e gli sorrise. "E, per favore, evita di fare colazione con la birra, ne hai già bevuta abbastanza ieri sera." Aggiunse e lanciò una veloce occhiata alle bottiglie vuote disseminate sul pavimento.
-"Non mi sembra ti dispiacesse ieri sera." Borbottò Manuel. "Mi sembra stessi bevendo anche tu con me."
Simone rise di vero cuore, come gli capitava soltanto in presenza del ragazzo più grande anagraficamente ma che gli sembrava un bambino da dover proteggere da ogni male nonostante sapesse benissimo che l'altro sapesse benissimo farlo da solo. Simone imparava continuamente da Manuel, imparava di tutto, adorava starlo ad ammirare mentre parlava, mentre faceva qualsiasi cosa, mentre semplicemente esisteva e lui non poteva non chiedersi che cosa avesse fatto di tanto buono per meritarselo e subito dopo si sentiva in colpa per quel poco che lui, invece, gli dava. Simone lo stava costringendo ad una vita fatta di silenzi e di segreti, di giornate d'assenza e di notti d'amore eppure il maggiore non si era mai lamentato, anzi lo ringraziava.
-"Tu mi porti sulla cattiva strada, Manuel." Sorrise il ragazzo dai capelli corvini e ricci, e in quel momento scompigliati, e gli baciò la guancia. "Sei una calamita per i guai." Rise.
-"Se non lo fossi non saresti qui, no?" Replicò il più basso, con quella sincerità che da sempre lo contraddiceva. "Tu sei il mio guaio peggiore."
-"Non mi piace essere definito così, lo sai." Lo ammonì, bonariamente, Simone e si alzò dal letto per recuperare i vestiti della sera precedente. "Non mi piace definire quello che abbiamo un guaio, a mio parere non è così."
Manuel avrebbe voluto dirgli che per lui non era niente quello che avevano, che sapeva che una volta fuori da quella stanza non avrebbe più avuto un posto nella sua mente fino alla sera seguente, Manuel sapeva di essere poco più di un passatempo, uno squarcio di vita in un'esistenza che qualcuno aveva imposto al corvino e che lui non osava distruggere.
Simone era abitudinario e Manuel era l'imprevisto. Due opposti che non si incontravano ma si scontravano, a muso duro, faccia contro faccia e finivano per arrendersi l'uno all'altro, a qualcosa che era più forte di loro.
-"Non appoggiare nulla sulla scrivania." Disse Manuel dopo un po', come se si fosse appena risvegliato da uno stato di trance, mentre osservava l'altro che stava per poggiare i suoi vestiti sulla scrivania bianca e sgombra.
Simone alzò gli occhi al cielo.
-"Non capirò mai perché ti interessi così tanto di questa scrivania." Rispose lui. "Questa stanza è un disastro eppure la scrivania è perfetta."
Per quanto strano potesse sembrare Manuel si identificava con quella stanza che lo circondava, le sue giornate erano un disastro, come quella stanza, ma le sue notte erano perfette come quella scrivania, non c'era nulla che potesse sporcarle e Manuel lottava con le unghie e con i denti affinché quella cosa non cambiasse.
-"Lì ci lavoro, lo sai." Replicò Manuel e, gettando di lato i boxer che non aveva ancora indossato, e si avvicinò al bordo del letto. "Ho bisogno di uno spazio tranquillo, qualcosa di mio."
Gli occhi grandi – di nessun colore particolare ma avevano il loro perché - del minore passarono in rassegna tutti i fogli ben ordinati sulla scrivania, scorgendo disegni e scritti a lui già noti, fino a quando notò un foglio un po' spiegazzato e con qualche macchia d'inchiostro messo da parte, in un angolo. L'uomo sapeva di non dover chiedere alcun permesso per poter leggere il contenuto di quel foglio, Manuel gli aveva dato il consenso di fare qualsiasi cosa volesse sin dalla prima volta in cui aveva messo piede in quella stanza, la prima volta che Simone si era lasciato andare a qualcosa che non poteva capire ma lo faceva stare bene, per quanto il più alto detestasse l'ignoto aveva imparato a convincerci da quando questo aveva il volto di Manuel. Le mani grandi e dalle vene ben evidenti del corvino raggiunsero il figlio e, con gesti lenti, lo portò sotto il suo viso e lo dispiegò, non notando il ragazzo al suo fianco che stava trattenevo il respiro, mentre i suoi occhi si muovevano tra quelle righe pasticciate e scritte di getto.
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Come sempre || Simuel.
FanfictionCome sempre || Simuel. Nel buio della notte succedono cose che la luce del sole non è in grado di capire, tra demoni e mostri la paura trova modo di diventare qualcosa di bello, di unico. Quando il sole tramonta inizia una nuova vita, poche ore stra...