Chi sono io?

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Le gambe di Manuel tremavano, ad ogni passo rischiava di cadere e la vista annebbiata di certo non lo aiutava ma non poteva fermarsi, non voleva fermarsi perché farlo lo avrebbe fatto sprofondare in un buco nero che lo avrebbe risucchiato senza dargli modo di impedirlo. Le parole di Laura continuavano a risuonargli nella testa, dure e taglienti come lame scagliate con precisione, impedendogli di pensare a qualsiasi cosa non ruotasse intorno ad una sola persona, ad un sole nome: Simone.
Il riccio non sapeva dove stava andando e tantomeno per quale motivo, sapeva soltanto che doveva uscire da quell'ufficio che sembrava soffocarlo – pregno com'era del profumo di Laura e della vita che non avrebbe mai avuto – e prima ancora di rendersene conto si era ritrovato a sfrecciare via dal luogo di lavoro ignorando le grida di Aureliano che lo richiamava per capire che cosa fosse successo, non poteva spiegare a qualcun altro qualcosa che non riusciva a spiegare nemmeno a se stesso. Manuel non sapeva che cosa fare, il fiato era corto e il petto si alzava e abbassava in modo irregolare e sentiva il desiderio, il bisogno, di correre da Simone e supplicarlo di dirgli che Laura mentiva, che loro sarebbero stati felici insieme e non avrebbero perso nulla ma anzi avrebbero soltanto guadagnato amore. Manuel voleva guardarlo negli occhi e sentirsi dire che anche Simone lo amava e che no, non era soltanto un divertimento momentaneo, una scappatella di cui si sarebbe dimenticato in pochi mesi, che per loro c'era un futuro insieme e Laura si sbagliava su tutto. Manuel aveva bisogno di sentirsi amato da Simone o da quel buco nero non sarebbe mai più riuscito ad uscire.

La gola gli bruciava, le gambe erano doloranti ed ottennero un po' di riposo soltanto quando il maggiore giunse, non avrebbe nemmeno saputo dire com'era arrivato indenne fino a lì, davanti ad uno dei ristoranti di Simone, l'unico che conosceva – per via di un sopraluogo fatto quando si occupava della campagna pubblicitaria per quel posto – e sperava con tutto se stesso che lì ci avrebbe trovato l'unica persona che poteva risolvere ogni suo problema.
Fu difficile per lui trovare le forze di cui aveva ancora bisogno per compiere i passi necessari per arrivare all'ingresso del ristorante, spalancare la porta e darsi un contegno per non scoppiare a piangere in quello stesso momento.
- "Signore, mi dispiace ma non siamo ancora aperti." La prima persona che si trovò davanti Manuel fu una ragazza, doveva avere all'incirca la sua stessa età, o forse poco più piccola, dai lunghi capelli scuri e gli occhi curiosi mentre lo scrutava come se fosse un animale selvatico.
- "Simone." Fu tutto ciò che il ragazzo disse, lottando contro il suo stesso corpo che voleva accasciarsi in quel punto e lasciare che fosse il tempo a risolvere tutti i problemi per lui.
- "Simone?" Ripeté la ragazza e inarcò un sopracciglio.
Il riccio prese un respiro profondo e si schiarì la voce.
- "Devo parlare con Simone." La voce risuonò incerta, era sul punto di spezzarsi e il ragazzo temeva quel momento come non mai.
- "E lei chi è?"
- "Sono un suo a- amico." Quella parole bruciò mentre usciva dalle sue labbra, lasciandogli la bocca arida, alla disperata ricerca di acqua e di amore per poter lenire quel fastidio. "È urgente." E lo era, si sentiva morire alla sola idea di aspettare ancora prima di vedere Simone.
La ragazza, scettica, ci pensò su un momento e poi, forse impietosita dalle condizioni del riccio, annuì seppur poco convinta.
- "Te lo chiamo." Rispose lei. "È in un altro ristorante ma sarebbe comunque venuto qui." Spiegò. "Intanto tu – si leccò le labbra per inumidirle – siediti dove vuoi, ti porto un bicchiere d'acqua, okay?"
- "Grazie." Sussurrò il maggiore e, con le ultime poche forze rimaste, si lasciò cadere sulla prima sedia che trovò. "Digli che c'è Manuel e lo aspetto."
- "Va bene, Manuel." Annuì la ragazza. "Io sono Luna." Si presentò. "Vado subito a chiamarlo."
E forse Luna l'aveva capito che Manuel aveva un disperato bisogno di vedere Simone, di perdersi tra le sue braccia e dimenticare il mondo esterno, rinchiudersi nel loro buio e fingere che il sole non fosse alto nel cielo. Aveva bisogno della notte e la notte, per lui, era Simone.

E ora che faccio? Tale domanda lampeggiò improvvisamente nella mente di Manuel, era arrivato fin lì pensando di trovare Simone che gli avrebbe giurato amore eterno, o forse pensava che andando lì sarebbe tutto finito ma nulla di tutto ciò era successo, Simone non c'era e lui si ritrovava solo con le sue domande mentre la gente si chiedeva lui chi fosse e, forse, se lo chiedeva anche lui stesso.
Chi sono io?
Simone, così come gli aveva detto Luna, era arrivato nel minor tempo possibile – circa venti minuti ma considerato il traffico milanese immaginava fosse anche poco – con un'espressione trafelata stampata in volto, non appena spalancò la porta in vetro del locale il suo sguardo vagò tra le sedie con imbottitura bianca e i tavoli in allestimento, ignorò del tutto le figure dei suoi camerieri che stavano lavorando e si soffermò soltanto sulla figura minuta di Manuel che se ne stava con le mani abbandonate sul grembo – coperto dalla stessa maglia blu di quella mattina e decisamente troppo leggera per quel periodo – e la testa china.
- "Manu." La voce gli uscì più alta, e soprattutto più dolce, di quanto avesse immaginato ma poco gli importava, tutto ciò che contava in quel momento era Manuel. "Manu, che succede?"
Manuel alzò lo sguardo, gli occhi erano lucidi ed arrossati, su Simone e non poté trattenersi di sospirare sollevato. Finalmente riprendeva a respirare.
- "Simo-" Non riuscì neppure a finire di pronunciare il nome dell'altro che dalle sue labbra fuoriuscì un rumoroso singhiozzo e risuonò con prepotenza all'interno della sala.
In men che non si dica Simone si ritrovò inginocchiato davanti a Manuel mentre lo stringeva tra le sue braccia e tentava di calmarlo con delle carezze sulla testa.
- "Va tutto bene, piccolo." Sussurrò mentre, di tanto in tanto, gli lasciava qualche bacio sulla tempia. "Sei qui con me, va tutto bene."
E Manuel avrebbe voluto dirgli che il problema era proprio quello, che loro insieme non potevano starci e che, prima o poi, sarebbe tutto finito e l'unico a soffrire sarebbe stato soltanto lui. Simone aveva una vita, aveva tutto, ma Manuel aveva soltanto Simone.
- "Ti porto a casa, okay?" Continuò a parlare Simone e lo strinse un po' più forte. "Ci penso io a te."

Come sempre || Simuel.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora