A' camorrist

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Elena

Ed anche il pomeriggio era passato, mi ero lavata molto velocemente per tornare in camera e cominciare a sistemare le mie cose ancora dentro al borsone sul letto di Silvia. Feci scorrere la cerniera e cominciai a mettere fuori tutte le pile di panni ai lati riposandole sul letto e poi cacciai tutte le pochette. Fortunatamente sembrava ci fosse tutto, ma ce ne era una in più, completamente rossa e fina, curiosa la presi ed immediatamente aprii la cerniera. Sembrava una foto e la cacciai, ma appena la vidi la voragine dentro di me si allargò e crollai sul letto. Era una foto mia e di Mariano mentre ridevamo nel solito bar, ricordo così bene quel momento dove tutto sembrava così perfetto.
Eravamo con mio fratello ed un amico di Mariano e fu proprio lui a fare quello scatto, questa foto la tenevo dentro una cornice sul comodino accanto al mio letto accanto a quella che avevo con mio fratello. In quel momento non ricordai la sua battuta che mi fece ridere in quel modo, cominciai a sentire i miei occhi pizzicare e poco tempo dopo delle gocce d'acqua calda che mi passavano sulle guance. Posai i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani reggendola mentre la foto l'avevo posata al mio fianco per non rovinarla. Cercai di ripetere le parole di mio padre, ma non riuscivo, quel ricordo continuava a vorticarmi nella mente, quando tutta la nostra vita era perfetta, due grandi amici cresciuti insieme che scherzano serenamente in un bar in centro con gli amici, ma per le persone condannate come noi quel tipo di pace solo poco può durare. Avevo deciso di entrare a far parte di quel giro a tutti gli effetti, prendermi il rispetto e l'onore che una Varriale dovrebbe avere, ma ne ho dovute pagare le conseguenze. Nella mia storia però nessuno mi aveva messo una pistola in mano ed obbligato a farlo, avevo scelto io e non mi pentivo di averlo fatto. Era passato esattamente un giorno dall'accaduto, ma sembrava essere passato troppo tempo, un'eternità.
"Ha spacciat ind e piazz nostr con a drog d'è Ricci" sussurrai.
"Ha spacciat ind e piazz nostr con a drog d'è Ricci" sussurrai di nuovo con la voce tremolante. Cominciai a sentire in lontananza le voci delle ragazze che cominciavano a rientrare dalle docce, dovevo riprendermi e tornare in me. Mi asciugai le lacrime e mi alzai, ripetei quella frase all'infinito mentre posavo tutti i panni dentro il mio armadio celestino, mentre le pochette le misi dentro i cassetti del bagno. Chiusi finalmente l'armadietto pieno di cose e gli poggiai la schiena, avevo smesso di piangere, la voce non tremava più. Spostai il mio sguardo sul letto di Silvia dove ancora c'era la foto e stavolta la guardai socchiudendo gli occhi, concentrandomi su quel momento, ma non riuscii a contenermi e sentii di nuovo le lacrime rigarmi le guance. Stavo ringraziando il cielo che Silvia e Naditza ci stessero mettendo così tanto tempo. Non mi sarei mai perdonata del fatto che mi avessero vista in quel modo, avrebbe fatto crollare la figura che stavo costruendo. Mi scaraventai su quella foto e la presi in mano mentre con l'altra mi asciugavo l'occhio. Poi mi diressi di nuovo verso l'armadietto e presi una calamita attaccata sull'anta di ferro e attaccai la foto. In bella vista.
"Ue siamm tornat" sentii la voce di Naditza mentre entrava in camera, spalancai l'anta dell'armadietto cercando la maglietta di mio fratello, era la mia preferita e gliel'avevo sempre detto, della Versace, nera con un serpente in verticale. "C ne avit miss d tiemp eh" risposi abbassandomi per prendere invece i pantaloncini nel ripiano in basso. "Eh c stieva fila" disse invece stavolta Silvia facendo il suo ingresso nella camera.
"E chi è stu bell uaglion?" Silvia guardò verso la foto avvicinandosi all'anta del mio armadietto, non avevo idea di come definirlo, non sapevano ancora la mia storia.
"Era un amico mio" risposi fredda, cercando di pesare bene le parole quando l'unica cosa che volevo fare era scoppiare a piangere buttare la testa nel cuscino. "Era eh" intervenne Naditza chiudendo l'anta del suo armadietto accanto al mio. Mi guardò dall'alto al basso e pensai che avesse capito e si scambiò uno sguardo d'intesa con Silvia dall'altra parte che incrociò le braccia. "L'hai accis tu?" mi chiese silvia mentre rimanevo immobile guardando dritta avanti a me, sentendo quelle parole, mi sentii di nuovo una persona orrenda, ma non ne avevo più di questi crolli per quel giorno. "Era n'nfame" risposi fredda allontanandomi da loro ed avvicinandomi al mio letto posandogli sopra la maglia ed i pantaloncini neri. Mi tolsi la maglia per cambiarmi mentre loro rimasero in silenzio.
"A' camorrist" disse Naditza sedendosi sulla sedia della scrivania dietro di me, ma non risposi, non sapeva nulla né della mia vita né di come funzionava e di certo non dovevo dargli delle spiegazioni, ma il suo tono parve leggero. Mi infilai la maglia e mi voltai verso di lei, sembrava accennare un sorrisino, ma aveva qualche problema? Poi presi i pantaloncini neri da basket e li infilai molto velocemente. "Statt tranquilla noi ca dint nun t giudichiamm" intervenne Silvia facendomi un sorriso cordiale e rassicurante, ma anche dei loro giudizi, come quelli del comandante e della direttrice, me ne sarei sbattuta altamente.
"Vabbò ja finimm d prepararci cossì scnimm" dissi io andando verso il bagno per sistemarmi il viso, già sapevo cosa sarei andata a trovare guardandomi allo specchio e dovevo nascondere i due occhi gonfi rossi a tutti i costi. 

Ma chi ci pensa a noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora