Spesso mi sento veramente a pezzi, come se la mia anima fosse stata riempita di percosse. La mia testa fa rumore come uno sciame di api arrabbiato, talvolta.
Queste sensazioni sono arrivate per caso circa due anni fa ed erano perenni: ogni giorno ad ogni ora io mi sentivo così.
-Sei inutile, non servi a nessuno e sei solamente un peso per le poche persone che ti stanno vicino- mi ripetevo la sera prima di dormire. La notte era alternata tra sonno e pianto silenzioso e disperato fra i cuscini.
Mi guardavo allo specchio e ciò che vedevo mi creava pieno disgusto. Volevo cambiare tutto, ma non sapevo come.
Pensavo che la privazione del mio sostentamento (il cibo) fosse la soluzione per migliorare.
Ho proceduto in maniera graduale nel farlo e, senza rendermene conto, ho usato un vero metodo preciso per non farmi scoprire dalla mia famiglia. Ero finita in un tunnel.
Riuscivo nel mio intento, ma nel mio stomaco c'era una voragine che voleva essere riempita, come nel mio cuore.
Avevo paura di un piatto di pasta, infatti a pranzo ne mangiavo meno della metà e, dopo, in silenzio in un angolo, piangevo in agonia. Ingerire quel poco era doloroso a livello mentale come una tortura.
Avevo paura delle patatine fritte, che mi piacevano tanto sin da piccola. Avevo paura dell'olio d'oliva, del burro e di qualsiasi condimento esistente.
Mi privavo di ciò che mi piaceva soltanto per il gusto di vedere quel dannato numero sulla bilancia scendere. Volevo vedermi bella.
A causa di ciò le mestruazioni erano sparite e i miei capelli erano sempre più radi e brutti.
Io continuavo a sentire un enorme malessere dentro di me. Quella cifra non mi soddisfava mai.
Dall'estate di quell'anno sembrava andare tutto benissimo, invece: il mio fisico mi piaceva, mangiavo senza pensare a nulla e mi mettevo in costume. Poi il declino.
Non mi aspettavo di poter nascondere ciò per sempre, ma speravo che durasse più tempo il controllo su ciò che ingerivo.
Quando si sono scoperte determinate situazioni non c'è più stata nessuna bilancia funzionante in casa.
Ho dovuto riprendere il peso che avevo perso. Ha fatto male.
Alterno momenti in cui mangio troppo a momenti in cui calcolo ogni singola caloria che entra nel mio organismo. Ciò dipende dal mio umore e dalla percezione che ho del mio corpo in quel preciso istante.
In due anni ho imparato i valori nutrizionali di molti alimenti che mangio, e ormai tollero solo quelli: se non so esattamente quante calorie ha un cibo, esso mi suscita terrore e, di conseguenza, cerco di evitarlo. Se devo mangiarlo per forza non mi so controllare e ne ingerisco in quantità industriale, fin quando non mi sento male a causa della troppa sazietà. Poi arrivano i sensi di colpa e la speranza che io vomiti per il troppo cibo ingerito, poiché così lo smaltirei. Puntualmente non succede mai e di mettere due dita in gola non ci penso proprio, anche se ogni tanto la voglia di farlo mi prende di soppiatto.
La maggior parte del giorno penso al cibo, alcune volte così tanto che lo sogno. È piacevole, ma solo in sogno, perché solo lì mangio e non ingrasso.
Spesso mi dico che sono ridicola, perché io sono la prima ad assicurarmi che qualcuno a cui tengo mangi e poi io sono la prima che non vorrebbe mai farlo.
Avere probelmi di questo tipo è strano e spesso altamente senza senso: non ho paura di mangiare una torta, ma di ingerire qualsiasi tipo di frutta si.
Non ho paura di mangiare un pacco intero di caramelle, ma di ingerire insalata condita con un filo d'olio si. Strano.
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Sono strano, forse
Narrativa generaleRaccolta di sfoghi sulla fragile salute mentale di un adolescente. Andrà avanti per un bel po'.