La terapia

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Il 15 giugno scorso sono andata per la prima (e ultima) volta dalla neuropsichiatra dell'ospedale della mia città, sotto richiesta della psicologa della scuola la quale aveva lavorato in passato con la dottoressa.
Quel giorno non avevo enormi preoccupazioni per la testa, stranamente, anche se parlare di determinati gesti ad alta voce è stato piuttosto difficile.
Sin da subito non mi aveva dato una buona impressione: considerava strane le mie ferite per qualche motivo sconosciuto e sembrava avere meno sanità mentale della paziente stessa (me).
Ad essere sincera speravo finisse lì, uscendone completamente "illesa" da quello studio bianco e freddo, senza nessuna ripercussione sul futuro. Chiaramente mi sbagliavo.
Dopo neanche venti minuti mi aveva detto che dovevo essere ricoverata. A causa di quest'affermazione m'ero messa a piangere disperatamente, però lei era impassibile di fronte al mio più totale disaccordo mentre mia madre cercava di consolarmi un minimo.
Mi facevo schifo in quei momenti: credevo che l'essere arrivata al limite fosse solo colpa mia.
Il pomeriggio del giorno dopo mi trovavo già nel reparto di neuropsichiatria infantile.
Durante la mia permanenza avevo fatto amicizia con due ragazzi in particolare e stavo abbastanza bene dopo un giorno o due: devo dire che nessuno se l'aspettava, però l'ansia di uscire da quella gabbia con una prescrizione di psicofarmaci mi mangiava viva ogni secondo. Mi facevano paura più dei miei stessi pensieri.
Durante quel periodo di tempo ho parlato con la psicologa del reparto, la quale mi aveva fatto fare dei test composti da varie domande ma soltanto il penultimo giorno di "prigionia", poiché prima ho dovuto dirle ciò che mi passava per la testa, il che veniva tutto annotato.
Lei ha voluto parlare anche con i miei genitori, ai quali aveva riferito che vedeva sempre casi come me e che, probabilmente, soffrivo di depressione lieve.
-Forse non sono abbastanza malata- pensavo spesso e me lo sono sempre ripetuto da quel momento in poi.
Verso agosto, a casa è arrivato tutto ciò che era venuto fuori dal ricovero.
Il rapporto della psicologa non mi sembrava per niente attinente alle mie affermazioni. Io non facevo ciò che lei aveva scritto e mi sono sentita completamente ignorata, nonostante io avessi il bisogno vitale di essere ascoltata, ma forse non l'aveva capito.
La neuropsichiatra consigliava la psicoterapia per me, quindi niente pillole. Ero sollevata da questo punto di vista.
Io volevo parlare di ciò che sentivo ogni giorno e sognavo ogni notte a qualcuno di competente  perché non mi sentivo capita da nessuno intorno a me e stavo sprofondando in un pozzo di negatività e depressione senza fondo, però questo mio bisogno è stato messo da parte per due mesi a causa di altri eventi superficiali. Io avevo davvero la necessità di sfogarmi, le ferite non mi bastavano più.
A fine ottobre ho iniziato le sedute dalla psicologa, finalmente: mi sentivo meglio e m'impegnavo a dire tutta la verità, ma durava soltanto per un paio d'ore questo umore nè troppo euforico nè troppo "con le ruote a terra".
L'instabilità si è fatta sentire e ad un certo punto i suoi consigli non li seguivo più, infatti non facevo altro che fare passi indietro.
La psicologa voleva ricoverarmi ancora, stavolta però era diverso, perché i farmaci li rischiavo sul serio.
-Io credo che quella roba abbia più effetti collaterali che effetti buoni- le dicevo, ma lei continuava a insistere. Da quel momento ho iniziato a mentire e a non parlare più di come mi sentissi davvero. Lei, poi, ha iniziato ad ignorarmi durante le sedute.
Ad aprile ho interrotto la terapia e da quel momento ho deciso di non tornarci più. Da quel momento non ho voluto più aiuto.
Io mi fidavo di lei e lei m'ha deluso. M'hanno tutti deluso nel momento peggiore

Sono strano, forseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora