Capitolo 2 - Paradise City

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Giunse la mattina seguente, ma non chiusi occhio. Mamma non dormì nel letto di papà, ma restò sdraiata sul divano. La veglia funebre si tenne presso la casa mortuaria, in molti vennero a porgere le condoglianze e a consegnare le buste, soprattutto colleghi. Dopodiché, li facemmo accomodare per il rinfresco.

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Il giorno successivo ci fu la sepoltura, e una volta terminata, una donna restò immobile davanti la tomba di papà, dopo si inginocchiò per poi scoppiare in lacrime. Stavo per avvicinarmi a lei, ma un'altra donna le mise una mano sulla spalla, lei si alzò ed insieme andarono via. Io e mia madre tornammo a casa per fare le valigie, presi tutto quello che per me era importante, la mia camera presto divenne spoglia. Mi pervase una sensazione di angoscia, tutto questo mi sembrava un incubo. Portai le valigie fuori di casa.

«Hai preso tutto, tesoro?» Mi domandò mia madre.
«Sì... possiamo andare.»

Mi voltai e guardai ancora un'ultima volta la casa prima di chiudere la porta. Un taxi arrivò davanti l'abitazione, caricammo le valige nel cofano dell'automobile e partimmo verso la stazione. Dopo il viaggio in macchina, io e mia madre ci incamminammo per prendere lo Shinkansen. Ci vollero circa due ore di treno per arrivare a destinazione. Passai l'intero viaggio guardando fuori dal finestrino, mentre nella mia mente scorrevano ricordi di mio padre. A Tokyo c'ero stata solo una volta, quando ero bambina, perché mia madre era nata lì, ma rimasi comunque sorpresa dall'enormità dei palazzi, delle luci e dei cartelloni pubblicitari che si trovavano nella zona. Era come essere in un altro mondo... Kyoto, oltre a essere meno caotica, è molto più classica. Se guardo avanti, il mio sguardo viene immediatamente bloccato dai grattacieli che, come una parete davanti alla mia faccia, nascondono l'orizzonte. Passammo per l'incrocio di Shibuya, la folla riempiva lo spazio davanti alla stazione ogni due minuti in attesa di attraversarlo.

«Eccoci, siamo arrivati.» Disse mia madre fermandosi davanti a un enorme condominio.

Guardai verso l'alto, non riuscii a vedere la fine del grattacielo di fronte a me. Mentre prendevamo l'ascensore, mia madre mi disse che la zona era molto comoda, vicino c'erano: la scuola, un centro commerciale e la stazione. Un po' più lontano, attraversando un lungo giardino, si poteva trovare il Santuario Meiji. A pochi chilometri da casa c'era una statua di un cagnolino, ma non uno qualsiasi, era Hachiko. Il suo proprietario era un professore universitario, e ogni giorno Hachiko lo aspettava alla stazione per poi tornare a casa insieme a lui. Quando il padrone morì improvvisamente, Hachiko rimase lì, come faceva ogni giorno, ad aspettarlo. Continuò ad attendere fino alla fine dei suoi giorni. Arrivammo al quarto piano, l'ascensore si aprì.

«Dai a me, ti aiuto a portare le valigie.» Affermò mia madre con le mani tese.
«Grazie, mamma.» Dissi per poi porgergliene una.

Aprì la porta di casa e mi fece entrare, poi posò la valigia a terra. Mi chiese di fare lo stesso, così lasciai i bagagli accanto ai suoi. All'improvviso, mi abbracciò senza dire una parola. Quel silenzio, però, diceva tutto ciò che avrebbe voluto esprimere. Dopo un attimo, raccogliemmo le valigie e, con un semplice cenno, mi guidò al piano di sopra, verso la mia nuova stanza.

«Ecco, questa era la camera degli ospiti, ma adesso è la tua... ti piace?» Mi domandò mia madre.

Prima di rispondere, mi fermai ad ammirarla. La stanza era spaziosa, proprio come il resto della casa. Le pareti bianche risplendevano sotto la luce che filtrava dalla grande finestra, incorniciata da una tenda grigio scuro. Alla mia destra c'era un letto con dalle lenzuola color panna, accanto un comodino con sopra una lampada bianca. Un grande armadio grigio chiaro occupava quasi un'intera parete, mentre al centro della stanza vi era un tavolinetto rotondo.

The Opposite of Me - Watashi no HantaiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora