Ero completamente cosciente, nonostante la testa mi stesse scoppiando. Lucido, e con la vista chiara subito mi sono voltato verso i sedili posteriori dove Jasmine era scoppiata in lacrime. Un piccolo graffio sulla fronte ma nulla di grave. Quindi sono tornato con gli occhi su Clara. Il suo airbag si è aperto come il mio, però lei era immobile. Il braccio penzoloni. Mi sono mosso a fatica, avvertendo un dolore lancinante allo sterno. Mi sono liberato della cintura e mi sono sporto su di lei, chiamandola per nome. "Amore? Va tutto bene, quel pazzo è andato via...". Mia moglie non mi stava rispondendo in alcun modo. Le ho scostato i capelli, volgendola verso di me. Gli occhi chiusi, le labbra serrate. "Clara? Clara, ti prego...". Jasmine ha iniziato a chiamarla mamma. La voce rotta. Ho controllato che nessuna auto stesse venendo verso di me per poter aprire lo sportello. Sono andato da mia figlia, prendendola in braccio e con la mano libera ho chiamato aiuto con il cellulare. Ambulanza e polizia sono accorsi da noi in dieci minuti. Ho visto i paramedici farsi spazio per poter far uscire Clara dall'auto. Era ancora priva di sensi, stesa sulla barella. Loro si stavano guardando a vicenda, per poi abbassare lo sguardo. "Starà bene?" ho domandato, un brivido gelido lungo la schiena. Jasmine che si era addormentata tra le mie braccia. "Signore, temo che non ci sia più nulla da fare". In un battito di ciglia, la mia vita era finita. Avevo perso l'amore della mia vita, l'unica donna che io abbia mai amato nella notte più brutta e lunga, su cui potevo presagire i successivi avvenimenti. Ho comprato la casa delle bambole a mia figlia, e non ha avuto modo di annoiarsi dato che non l'ha nemmeno guardata.
Dopo alcuni mesi, era ancora impacchettata sotto la scrivania. Pensavo di poterla rendere felice, di donarle un po' di conforto e con il passare delle settimane, si è chiusa sempre di più in sé stessa. Tutte le sfumature di colore che illuminavano le sue giornate, sono state rimpiazzate da toni scuri, ombrosi come l'oscurità che era discesa sulla nostra casa. Intanto dovevo sorbirmi gli sguardi penosi dei vicini, che spesso e volentieri mi chiedevano come ce la stavamo passando. Mi hanno ripetuto che ci sarebbero stati se avessimo avuto bisogno di qualcosa. Non volevo vedere nessuno. Desideravo solo crogiolarmi nel dolore per tutto quello che avevo perso con così tanta facilità che mi era scivolato tra le dita all'improvviso, invece ho tenuto duro. Ho stretto i denti per Jasmine ed è quello che continuo a fare. Da cinque anni, siamo solo io e lei, con meno peso sul cuore ma ugualmente turbati da quello che abbiamo passato. Sono cambiate molte cose nel frattempo. Ian e Susan non sono più sposati. Hanno divorziato poco tempo dopo la morte di Clara, per un presunto tradimento da parte del mio amico. Susan non è riuscita a perdonarlo, nonostante continuasse ancora ad amarlo. Adesso si dividono la custodia di Nina. Lei e Jasmine sono rimaste amiche, e questo mi dà un po' di conforto. Almeno so che ha qualcuno con cui parlare, e che non si è totalmente chiusa in sé stessa. Con me non parla, non come dovrebbe. Non si confida, non gioca più con me.
È fredda, distaccata. L'ultima volta che le ho chiesto di accompagnarmi al cimitero per l'abituale visita a sua madre, mi ha risposto male e si è presa una sberla. Le ho chiesto immediatamente scusa ma a nulla è valsa la mia richiesta di perdono. Spesso mi ritrovo a desiderare di essere morto anche io quel giorno, perché quello che è venuto dopo non può considerarsi parte della mia esistenza. Mi trovo in un limbo, in cui non ci sono sprazzi di luce o fasci di buio. In bilico, tra una spasmodica sensazione di vuoto e la consapevolezza di non poter avere più quella felicità a cui ero abituato. Stamattina Ian viene a farmi visita dopo che Jasmine è andata via. Non vuole più essere accompagnata a scuola. Adesso fa tutto da sola. Forse quel giorno ho perso anche lei – la mia bambina, dolce e sorridente. Questo è il pensiero che l'ha resa meno vivace, se ricordo il suo sorriso la sera che eravamo a casa di Ian. La guardavo e pensavo che l'avrei vista così felice ancora per molto tempo, invece in poche ore tutte le mie speranze sono vanificate. Apro la porta, e Ian mi porge il bicchiere di caffè preso al bar dove si ferma ogni mattina. Lo ringrazio. "Non ti avevo chiesto gentilmente di andare dal barbiere?" scherza, indicandomi la barba. "Pensi di fare tu Babbo Natale quest'anno?". Continua ad ironizzare, camminando verso il giardino. Lo seguo.
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𝐁𝐄𝐆𝐈𝐍 𝐀𝐆𝐀𝐈𝐍 | 𝘾𝙝𝙧𝙞𝙨 𝙀𝙫𝙖𝙣𝙨
General FictionUna sola notte ha il potere di cambiare il destino di una famiglia.