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Clara è appena uscita dalla doccia. Le gocce d'acqua ancora le imperlano il viso, scendendo verso il collo e posandosi dolcemente sul rigonfiamento del seno sotto l'asciugamano. Siamo in ritardo di dieci minuti, e dovrei dirle di darsi una mossa. Invece resto a contemplarla, facendo finta di allacciarmi le scarpe seduto al capezzale del letto. Sono pronto da quasi mezzora e lei è ancora nuda. Chi ha detto che gli uomini sono i ritardatari, non ha mai conosciuto mia moglie. Clara mi ha sempre fatto attendere le ore, sin dal nostro primo appuntamento e dopo quasi tredici anni insieme, non posso aspettarmi che cambi abitudini. "Amore?" la richiamo dopo aver guardato l'ora dalla sveglia sul comodino. "Sì, lo so. Mi asciugo e mi vesto".

"Ma devi ancora truccarti" si sporge dalla porta semi aperta del bagno. "Non ho bisogno del trucco" mi scocca un bacio volante, tornando a guardarsi allo specchio. "Controlla se Jaz è pronta". Jasmine "Jaz" è nostra figlia. Ha quattro anni e gli stessi lineamenti di sua madre. Entrambe con lunghi capelli biondi ed enormi occhi azzurri, e per entrambe sono perso. Arrivo nella sua stanza, trovandola in piedi davanti allo specchio, intenta a fare giravolte nel suo vestito a fiori. Non oso interromperla, ma in poco tempo si accorge di me dal riflesso nel vetro. "Sono pronta" sibila, afferrando la gonna rosa tra le dita minute. La guardo dalla testa ai piedi. "Ti manca ancora qualcosa". Prende un oggetto da sopra la sua piccola scrivania. Una bacchetta magica. Me la mostra, facendomi ridere. "No, ti manca qualcos'altro".

"No, invece" si mette a braccia conserte, un broncio sulle sue labbra sottili. Mi avvicino, inginocchiandomi ai suoi piedi. La faccio sedere sullo sgabello, chiedendole di alzare le gambe. "Cosa manca?" lei si guarda le caviglie, strabuzzando gli occhi cristallini. "Le scarpe!".

"Esatto" gliele prendo dalla scarpiera, aiutandola ad allacciarle. Infine la prendo da sotto le braccia, sollevandola per poterla portare con me in cucina. Stuzzico qualcosa con lei nell'attesa che Clara finisca di prepararsi. "Non dovremmo mangiare" brontola Jaz con la bocca sporca di briciole. "Voglio il dolce, più tardi".

"E lo avrai" le spiego, accarezzandole i capelli dorati. Ha anche qualcosa di mio: il carattere spavaldo, l'arroganza, l'amore per il cibo e i suoi occhi non sono completamente di Clara. Sono un mix di entrambi. Sento il rumore deciso dei tacchi sul parquet che mi avvertono della presenza di mia moglie. Appare come per magia sotto l'arco del corridoio, con indosso un abito rosso attillato, stretto sui fianchi e sul seno che le mette in risalto tutte le curve di cui dispone. Le vado incontro, cingendola a me per poterla baciare sotto gli occhi curiosi di nostra figlia. "Ti piace il vestito?" mi domanda Clara sottovoce. "Oh, mi piace così tanto che non vedo l'ora di sfilartelo... appena torneremo a casa". Lei sogghigna, accarezzandomi la guancia. "Allora dovremo muoverci. Sono già le dieci! Dio, ma perché finiamo sempre così tardi?" domanda con ironia, facendomi alzare gli occhi al cielo. Torno da Jasmine per ripulirla delle briciole, e dopo la prendo per mano mentre ci dirigiamo al garage dalla porta sul retro. La adagio nel suo seggiolino, sistemandole la cintura. Infine mi metto alla guida, e Clara mi siede accanto, allungando le dita verso la radio. "Abbiamo chiuso il gas?" – "Non lo abbiamo acceso proprio in giornata" rispondo, prendendo l'interstatale. 

C'è traffico, perciò ci vorrà quasi mezzora per arrivare a destinazione. Nello specchietto retrovisore, vedo Jasmine che gioca con una delle sue bambole preferite. Le ha tagliato i capelli e fatto i buchi alle orecchie. Che bambina ribelle! Questo lato selvaggio deriva da sua madre, e lo posso confermare basandomi su uno specifico ricordo che la riguarda. Era a bordo di una Harley Davidson il giorno in cui l'ho vista per la prima volta. Avevo ventitré anni, studente in lettere alla State di Los Angeles e lei era nel parcheggio a parlare con un paio di amiche. All'inizio ho pensato che fosse un ragazzo, ma quando si è sfilata il casco, liberando la folta chioma dorata sono stato contento di scoprire che in realtà si trattava di una bellissima ragazza che era alla mia stessa università per studiare psicologia. Non l'avevo mai notata prima di quel giorno, e lei non aveva notato me. È stato un caso. Io non avrei neanche dovuto essere a scuola quella mattina, ma il destino ha voluto diversamente, facendo partire per miracolo la mia auto che fino a pochi minuti prima era completamente andata. Una canzone alla radio mi riporta in macchina. Clara mi prende la mano da sopra il cambio, sorridendomi. "Sei sovrappensiero". Le sorrido anche io. "Ricordi. Stavo pensando al giorno che ci siamo conosciuti" – "Amore..." sibila, gli occhi che le brillano.

𝐁𝐄𝐆𝐈𝐍 𝐀𝐆𝐀𝐈𝐍 | 𝘾𝙝𝙧𝙞𝙨 𝙀𝙫𝙖𝙣𝙨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora