Capitolo 2- Purple

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Quando quella mattina di due mesi fa mi guardai allo specchio rimasi sconvolta alla vista dei miei occhi: il color cioccolato delle mie iridi era scomparso e adesso era di colore viola. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che quello che guardavo era il mio riflesso e ancora adesso mi domando come sia potuto accadere.

Avevo gli occhi viola cazzo e questo voleva dire che sarei stata reclutata dall'Accademia.

La nazione di insediamento dell'Accademia era Morsia, dove ero nata e avevo da sempre vissuto con la mia famiglia. Lo scopo di tale organizzazione non era conosciuto, si profetizzavano paladini per un bene superiore ma nessuno ne aveva mai avuto le prove anche se la prassi per potervi entrare era conosciuta da tutti, insegnata a tutti fin dalla sua fondazione duecento anni prima: si doveva concepire come primogenito una femmina e cederla a loro come un pacco regalo ben incartato nel momento in cui il colore degli occhi sarebbe cambiato, se questo mai fosse successo.
Non capitava a tutti, l'evento era totalmente casuale, nessuna famiglia scelta era uguale alle altre e nessuno aveva mai capito quali fossero i criteri per cui accadesse e ormai era un fenomeno via via scomparso, non più comune come un tempo.

Cedere la propria progenie all'Accademia era un grande onore, significava poter ricevere un encomio e vivere nell'agio per tutto il resto della vita: proprio per questo motivo molti genitori avevano provato a modificare chirurgicamente le iridi delle figlie ma l'Accademia e i suoi adepti lo scoprivano sempre, massacrando ed esponendo al pubblico chi aveva tentato di ingannarli.

Quella mattina stetti chiusa in bagno per quelle che sembrarono delle ore a fissarmi allo specchio, non sbattendo le palpebre fino a farmi bruciare gli occhi.
Nessun membro della mia famiglia era entrato a far parte dell'Accademia e avrei preferito cavarmi gli occhi da sola pur di non essere io la prima a dovermi sacrificare; era stato un pensiero egoistico da parte mia, avrei potuto permettere ai miei genitori e ai miei fratelli di poter vivere una vita tranquilla ma non riuscivo a superare il groppo che avevo in gola, non riuscivo a non pensare alle mie sorti.
Nessuno era mai tornato dalla sua famiglia, nella sua casa, per poter raccontare cosa accadeva lì dentro e io non mi ero mai permessa di fantasticare a riguardo, come se avessi paura di maledirmi da sola ma a quanto pare era capitato lo stesso.
Avevo sempre evitato tutti i discorsi o di ascoltare tutte le congetture che venivano fatte su quelle famiglie e soprattutto sulle loro figlie, che fossero ancora tutte vive? Che anche loro vivessero una vita meravigliosa? Con la fortuna che avevo avuto in questo periodo sicuramente sarei finita come schiava o come contenitore per gli organi di qualcun altro.

Il viola intenso dei miei occhi mi derideva mentre quella mattina mi prendevo a schiaffi davanti lo specchio del bagno. Era sempre stato uno dei miei colori preferiti perché riprendeva il colore principale dei fiori da cui prendevo il nome, Iris.
Mi sembrò ancor di più una presa in giro, «è uno scherzo» sussurrai mentre mi tiravo degli schiaffi in viso per controllare che non stessi sognando.
Respirai a fondo prendendo tutto il fiato necessario per correre dai miei genitori al piano di sotto, per chiedergli aiuto supplicandoli di cavarmi gli occhi e non lasciarmi andare via.
Non ne avevamo mai parlato, a nessuno era passato per la mente che vi era una probabilità che la mia vita cambiasse.

Mai in casa mia si era nominata l'Accademia, come se non esistesse, come se quello fosse uno spazio sicuro dalle congetture e dalle paure. Per questo motivo quella mattina di due mesi fa quando corsi al piano di sotto mi sarei aspettata di tutto ma mai avrei pensato di vedere il sorriso dei miei, gli abbracci e le lacrime di gioia che mi vennero riservate.

Magari i miei nuovi occhi mi stavano traendo in inganno, magari non vedevo più chiaramente quello che accadeva intorno a me e quasi ci sperai: sperai che tutto quello che stava accadendo fosse un inganno.

Scivolai via lentamente dall'abbraccio dei miei genitori, come se non volessi disturbare il loro momento di gioia condiviso ma presto i loro occhi furono su di me e potevo vedere la loro gioia spegnersi all'aumentare evidente della rabbia che sentivo riscaldarmi il collo e il viso.

«Iris è un miracolo» urlava mia madre con voce stridula non riuscendo a stare più ferma e alternando abbracci e baci tra me e mio padre ,che si riavvicinò a me con sguardo fiero come se fossi appena stata nominata regina del mondo.

«Miracolo?» sussurrai, devastata dalla scelta della terminologia. Io avrei scelto la parola disgrazia e tutti i suoi sinonimi che avessi trovato sul vocabolario.

«Pensavamo che ormai non sarebbe più capitato, ci abbiamo così tanto sperato.» disse mio padre «Finalmente stai per cambiare le nostre vite» aggiunse avvicinandosi a me con il braccio teso per toccarmi la spalla. Mi spostai di tutta fretta sentendo un'espressione di disgusto nascermi sul viso.

«Che cazzo stai dicendo? Sei fuori di testa? Io non cambierò proprio le vite di nessuno.» cominciai a guardarmi intorno cercando una via di fuga e la finestra aperta in quel momento mi sembrava perfetta «Non mi manderete là»

«Cerca di ragionare Iris, non è una brutta cosa, saresti complice per un bene superiore» disse mia madre guardando fuori dalla finestra verso i due alberi di limone su cui era attaccata l'amaca. Era il suo posto preferito di tutta la casa, anzi forse di tutto il mondo, dove passava interi pomeriggi a contemplare i frutti degli alberi che lei stessa aveva piantato o a leggere a voce alta, come se stesse raccontando a qualcuno quelle storie. Mi piaceva tanto stare li con lei da bambina, a dondolare sotto il profumo dei limoni. 
Cominciò a piangere girandosi verso di me «Non puoi rifiutarti, sai benissimo cosa faranno a te e a noi se non verrai ceduta. Abbiamo lavorato e sofferto tanto per fare in modo di entrarvi a far parte»

Era veramente mia madre quella che stava parlando? Mi resi conto che forse quando i miei genitori non parlavano dell'Accademia non era per timore di essa, ma per timore che le loro speranze e i loro sogni non si avverassero.
«Che vuol dire che avete lavorato tanto per questo? Avete programmato tutto fin dalla nascita?»
I miei si guardarono e mio padre annui mentre mia madre correva a chiudere la porta e la finestra, come a voler bloccare dentro la cucina sia me che le parole che stavano per pronunciare.
«Iris, non sei la nostra primogenita.»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 19, 2022 ⏰

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