1. Beth

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Ero in ritardo per la scuola e stavo correndo, con i capelli ricci al vento, mentre tremavo per il freddo.
La temperatura era più bassa del solito e il mio abbigliamento non era adatto al gelo come alla corsa.
Per la fretta avevo dimenticato giubbotto e cellulare a casa, quindi non potevo ne coprirmi ne chiamare i miei genitori, per avvisarli e magari farmi venire a prendere.
Alla fermata dell'autobus mancavano due miglia e l'ultima corriera del mattino sarebbe passata a distanza di pochi minuti; non sarei mai riuscita a prenderla.
Probabilmente avrei perso le prime due ore di lezione, data la mia lentezza e la distanza che mi separava dalla scuola.
Se non fosse stato per loro.
La mia professoressa di chimica e quello che, in un primo momento, credevo fosse suo figlio, passarono di lì proprio in quel momento e furono la mia salvezza.
La macchina, una C3 nera, accostò qualche metro dopo di me e io la raggiunsi con uno sprint, speranzosa di ricevere un passaggio, nonostante sapessi quanto questo fosse improbabile.
Il finestrino del passeggero si abbassò e potei guardare meglio il ragazzo. Capelli castani e ricci, occhi color cioccolato. Il più bel ragazzo che io avessi mai visto, lo riconoscevo.
Mi stava studiando, me ne resi conto da come mi scrutava. Poi sorrise, come soddisfatto della sua analisi.
Distolsi gli occhi da lui e osservai la professoressa.
Mi osservava a sua volta, con una domanda inespressa riflessa negli occhi.
"Va tutto bene, Elizabeth?" controllò l'orologio, con la fronte increspata, "Ormai dovresti essere in aula da quasi venti minuti. Come mai non sei ancora a scuola?"
"Mi sono..svegliata... tardi, prof." Mi fermai a riprendere fiato più volte mentre parlavo; non mi ero accorta di avere il fiatone.
La donna sorrise e mi invitò, a gesti, ad entrare nel mezzo. Grata, e anche leggermente stupita dalla sua improvvisa gentilezza nei miei confronti, salii in auto.
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L'auto era piccola, ma accogliente, con i sedili in pelle color crema.
La radio era accesa e stavano trasmettendo una canzone degli Arctic Monkeys, che il ragazzo cantava alla perfezione. Aveva una voce dolce, melodiosa, e muoveva le dita a tempo con la musica.
Mi incantai guardando le sue mani.
Erano le mani di un musicista; me lo suggerivano le unghie pericolosamente corte ed alcuni calli. Anche la loro fermezza era un chiaro segno della passione del ragazzo.
La professoressa mi riscosse dai miei pensieri, immischiandomi in un discorso di cui non mi ero accorta tra lei e il giovane.
"Elizabeth, pensi che sia buona educazione cantare così con degli sconosciuti in auto?" aveva un tono cantilenante, probabilmente non era la prima volta che affrontavano quel discorso.
"Secondo me, dipende dal..ehm..talento di chi canta. E nel caso di.." stavo per dire 'suo figlio', quando lui mi interruppe, dicendomi il suo nome.
"Bradley."
"E nel caso di Bradley è..okay." conclusi.
Guardando verso lo specchietto retrovisore, lo vidi sorridere.
"Grazie, Elizabeth."
Il mio nome aveva un suono diverso, detto da lui. Era più..armonico.
Mi sentii arrossire e abbassai lo sguardo.
La donna allora prese la parola, interrompendo qualunque cosa stesse succedendo, anche solo nella mia mente, tra me e Bradley.
"Effettivamente, Brad ha un grande talento. Comunque rimango dell'idea che sia da maleducati cantare ad alta voce, in auto, davanti a dei perfetti estranei."
Rimasi in silenzio, mentre il giovane rispose, con tono tagliante.
"Ma lei non è un'estranea, ci conosciamo ormai. Vero, Beth?"
Rimasi qualche secondo spiazzata da quel nominativo. Nessuno aveva mai abbreviato il mio nome, oltre ai miei familiari. Che, tra l'altro, mi chiamavano Liz.
Poi mi ritrovai a soffocare un sorriso; in un certo senso, mi aveva appena difeso. E inoltre mi aveva dato un soprannome.
La professoressa ribatté, chiaramente scocciata.
"Se dieci minuti per te bastano a conoscere una persona, va bene."
"Dieci minuti sono più che sufficienti, zia."
Iniziai a giocherellare con le maniche del maglione, come se dedicare tutta la mia attenzione a loro potesse salvarmi da quella situazione imbarazzante.
Bradley stava per ribattere, quando la macchina si fermò.
Eravamo arrivati a scuola; dovevo andare.
Puntualmente, la professoressa me lo ricordò, come per assicurarsi che non me lo fossi dimenticato.
"Siamo arrivati, Elizabeth. So che sei in ritardo, ma prima di entrare in classe, fammi il piacere di avvisare la bidella che arriverò in ritardo di qualche minuto. Chiedigli se può, cortesemente, controllare l'aula di chimica al primo piano finché non arrivo. Va bene?"
"Si, prof." guardai velocemente l'orario sopra il contatore della velocità e notai che ormai entrare alla seconda ora era la mia unica possibilità.
Salutai la professoressa, aprii la portiera e mi preparai per uscire, quando colsi l'occhiata di Bradley dallo stesso specchietto da cui lo vidi sorridere prima.
Probabilmente non lo avrei mai più rivisto, quindi mi concessi un po' di quella che, a mio parere, si poteva definire sfacciataggine. Lui mi aveva dato un nomignolo, usando un tono civettuolo. Quindi lo ricambiai con la stessa moneta.
"Ciao Brad. È stato un piacere conoscerti."
Lo sentii ridere ed uscii, senza neanche badarmi di ascoltare la sua risposta.

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