Vi è mai capitato di trovarvi in una situazione che è in continuo cambiamento, ma che non avete idea di come finirà?
Io sto vivendo questa situazione da marzo. Dicevo, ogni volta che ero giù di morale per un qualche motivo: "È un periodo di cambiamento", perché non stavo ben capendo cosa stava davvero succedendo.
Oggettivamente, non c'erano state novità; magari qualche amicizia si era indebolita per vari motivi, in famiglia non era cambiato nulla, e nel mio gruppo, il tema caldo era dove andare in vacanza.
Eppure c'era qualcosa di diverso nell'aria.
Non mi sento ancora di dire che io stavo cambiando (troppo edgy), ma alcune mie idee su di me sì. Sono crollate.
Una delle tante è la mia socialità.
Mi sono sempre visto come una persona abbastanza asociale perché non mi piace andare a ballare, odio il casino, cerco di evitare il più possibile di andare in posti dove sono costretto ad urlare per dire qualche parola, insomma, preferisco la tranquillità.
Ed invece, ho scoperto che in realtà, io sono molto sociale.
Essere asociale non significa evitare i loghi affollati, esattamente come essere sociale non significa andare ogni venerdì in discoteca.
Sono ben lontano da quello che può essere definito "un atteggiamento asociale".
Verso maggio, ero nei vicoli dei Quartieri Spagnoli, di sera, con alcuni miei amici.
Ero giù di morale per vari motivi, quel casino che c'era non mi aiutava per nulla, così me ne stavo andando, ma ad un certo punto, avevo intravisto alcune persone che stavano guardando l'Eurovision, così mi avvicino a loro. Erano un gruppo di persone spagnole, e tra un commento su una canzone e un altro, iniziamo a parlare di tutto.
Per farla breve, si fanno quasi le tre, quando io a malincuore dovevo andarmene, e quasi tra le lacrime (mie), ci salutiamo. Lacrime di felicità, di stupore, perché quella vecchia immagine di me si era spezzata, e per quanto banale possa essere, mi rende sempre felice conoscere nuove persone.
Quando ne parlai con gli altri, dopo che li avevo raggiunti, iniziai a sentire i soliti commenti stupidi che mi riportarono con i piedi per terra.
Anche all'università è accaduto questo evento. Mi trovavo, all'inizio del secondo anno, nella paradossale situazione in cui tutti quelli del corso mi conoscevano, ma io invece no. Era molto strano all'inizio, ma poi ho iniziato a legare e conoscere nuove persone (se ero asociale me ne fregavo altamente, oppure evitavo).
Sono timido, ma ho scoperto di avere anche una faccia di cazzo perché laddove voglio, mi butto; estroverso ma timido.
Un'altra idea che è crollata: la filosofia.
Non smetto di amarla (qua ci sono pochi dubbi), ma è cambiato il mio approccio verso lei.
È diventato un po' più pratico, perché spesso alcuni filosofi tendono a quella che chiamo: "masturbazione filosofica", cioè, quell'atteggiamento che non è altro che un girare su sé stessi e farsi forte di termini complessi, ma che in realtà dicono poco e nulla. In poche parole, un inutile "complessificazione" che io cerco di evitare, rendendola più "reale".
Quando era scoppiata la guerra in Ucraina, la mia facoltà aveva organizzato una specie di seminario in cui si parlava del conflitto da vari punti di vista, invitando vari professori che si occupano di politica, tra cui un professore di informatica.
Iniziarono a parlare, ma sembrava che lo facessero tra di loro, senza dire nulla a noi, e solo il professore di informatica mi colpì, perché spiegò come gli ucraini comunicavano tra loro sotto i bombardamenti ad esempio e diede un reale punto di vista.
Oppure quando ad una lezione, uno studente iniziò a parlare di Nietzsche, facendo riferimento anche ad opere antiche, altri filosofi, ed il professore stesso disse che aveva fatto un discorso molto complesso, mentre io ero tentato di tirargli la sedia appresso.
Non tutta la filosofia è così, ma solo una piccola parte.
Già si occupa di questioni complesse, probabilmente irrisolvibili, quindi rendere complesso ciò che è già complesso lo vedo come un autogoal.
Non sono contro l'ontologia, che è forse l'ambito che si occupa della questione capitale dell'esistenza, sia ben chiaro.
Che senso ha trovare la risposta completa su tutto ciò che accade, se poi non facciamo altro che chiuderci nelle nostre stesse parole?
Si fa la fine di quel chitarrista che inizia a suonare assoli complessi, senza dare nessuna emozione.
Quindi cosa è cambiato per me alla fine? Se prima, davanti a certe stratificazioni godevo, ora però mi domando: "e quindi?".
Questa idea può cambiare più volte durante il mio percorso di studi e probabilmente è frutto di ignoranza, ma lo considero un passo avanti verso un qualcosa che ha influenzato la mia vita anche prima della sua venuta.
Anche il mio approccio al il concetto di "arte" è cambiato.
Per vari motivi, tendevo a schivarla perché avevo sempre avuto l'impressione che l'arte in senso stretto fosse una cosa da snob. Mi immaginavo sempre la stessa scena: due persone davanti ad un ammasso di plastica (o un quadro, abbastanza generico), con dei calici di vini in mano, parlando, con la puzza sotto al naso, di quanto la società borghese fosse arretrata mentre loro no, etc.
Ma grazie ad una mia amica che mi ha portato ad una mostra, ed al professore di "Estetica", sono riuscito, almeno in parte, a superare quella immagine.
Quella mostra mi colpì particolarmente, perché erano dei dipinti raffiguranti i pazzi di un vecchio manicomio, e mi fece venire disgusto, perché c'erano raffigurate le loro condizioni di vita, terribili.
Il professore di Estetica, parlando di poter educare il genere umano con l'estetica, durante la lezione disse: "L'arte mi dà la forza di andare avanti. Quando vedo un'opera architettonica, un quadro, una scultura, a me viene voglia di superare quel loro limite, fare di meglio, perché mi fa pensare che "Si cazzo, ce la posso fare" ed è una cosa che mi darà sempre, per poter cambiare le cose".
Non è esatto parola per parola, ma ricordo che ad un certo punto, iniziai a tremare e gli domandai: "E quindi cosa possiamo fare per cambiare le cose?". Sembra uscito da un film, lo so. Insomma, se l'arte deve colpire, con me c'è riuscito.
Mi rendo conto che questi tre argomenti possono sembrare poco, ma li vedo come indizi di un cambiamento che è ancora in corso. È come se iniziassi a vedere l'esterno in maniera diversa, con una nuova prospettiva che è inedita, ma anche straniante, perché poi tutto cambia, e diventa una reazione a catena che non so ancora dove porterà.
Sono solo certo che qualcosa di elettrico nell'aria.
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EIia II: "Slam Dunk"
Non-FictionSe in "Elia I" ho fatto i conti con un espierenza amorosa, qui è diverso. Per parlare del futuro, del periodo che sto attraversando, sono andato a scavare nel mio passato, per trovare il luogo da dove tutto è nato. Se nella prima "opera" sono stato...