CAP.4

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Mi svegliai di soprassalto.
Quella notte non avevo fatto incubi e non avevo avuto attacchi di panico e ne ero così tanto felice che per un po' non mi accorsi di alcuni dettagli.
Non ero più seduta ma sdraiata, non ero più su una poltrona ma su un letto e cosa ancora più assurda, quella non sembrava la mia stanza.

Della notte precedente avevo solo alcuni flashback in cui qualcuno mi prendeva a mo' di principessa, mi sollevava dal divanetto ed io agganciavo le braccia attorno al suo collo.

Solo in quel momento mi resi conto che a meno che Pixie e Dobby non fossero cresciuti a vista d'occhio giusto in tempo per portarmi nella mia stanza, l'unico che avrebbe potuto accompagnarmici era proprio Draco.
Tutto d'un tratto mi accorsi che il letto in cui ero distesa non era il mio e la stanza in cui ero chiusa era davvero troppo diversa dalla mia.

Tutto perfettamente in ordine, i colori della stanza erano fin troppo cupi e c'era un odore particolarmente forte e fastidioso del profumo di Draco.

Ero in camera sua.

Feci vagare lo sguardo dal pavimento, ai mobili, alle pareti e notai qualcosa che attirò particolarmente la mia attenzione. Una parete cosparsa di polaroid proprio come la mia.
Era sistemata di fronte al letto a baldacchino e l'unica differenza tra le due erano proprio i soggetti delle foto.
Nelle mie c'erano foto di quando ero una neonata tra le braccia di mia madre, delle foto con mio padre, Rodolphus Lestrange, che mi stringeva in un abbraccio paterno, foto con i miei migliori amici Pansy, Blaise e Theo, foto della squadra di quidditch serpeverde ai festeggiamenti per la vittoria, foto di me stessa che ballavo sulla pista della sala comune durante uno dei nostri famosissimi festini. Quelle di Draco erano diverse.
In molte di loro erano ritratti Blaise e Pansy che ridevano in compagnia di Draco, in una foto erano ritratti lo zio Lucius, Cissy e Bellatrix assieme a Draco in sala da pranzo, tutti e 4 sorridenti per non so quale motivo, c'erano svariate foto con Astoria e Daphné, con Theo e Terence e una bellissima foto che ritraeva le mani intrecciate di Draco e Pansy. Molte volte il loro rapporta induceva a pensare che fossero molto più di amici, ma scorgendo i piccoli gesti tra loro due, l'unica cosa che si poteva notare era un'amicizia genuina e davvero fantastica per entrambi. Infine mi saltarono all'occhio 7 foto oscurate sul lato sinistro della parete, quasi sicuramente in esse vi era raffigurata la sua ragazza; avvicinai un dito poiché toccando una foto oscurata essa ritorna alla sua forma naturale, ma al solo accenno del mio tocco la polaroid innescò una sorta di barriera protettiva che mi bruciò all'istante il polpastrello.

Ritirai in fretta la mano e pensai che era solito di Draco, probabilmente quelle erano foto troppo intime perché potessi vederle, figuriamoci toccarle.

Draco odiava quando qualsiasi cosa di sua proprietà venisse toccata e permetteva di farlo solo ai suoi tre migliori amici, non ero nemmeno mai stata nella sua stanza e non so perché in quel momento ero lì.

Preferii non toccare più nulla se non la maniglia della porta, sapendo come era fatto Malfoy mi sarei aspettata che perfino la finestra della sua stanza fosse stata stregata in modo da non farmela toccare.

Scesi al piano di sotto ma non sentii nessun tipo di rumore, mi affacciai dalla scala e Draco non c'era, non aveva lasciato nessun bigliettino per avvertirmi che non ci sarebbe stato, ma non era importante saperlo.
Feci colazione e svolsi la mia giornata da sola,
in
completa
noia.
Quando Draco tornò era ormai notte fonda, si ritirò nella sua stanza e scomparì sino al giorno dopo, a mio malgrado si comportò così per tutto il tempo che passammo "insieme" e il massimo delle interazioni che c'erano state tra di noi erano state una cena insieme ma in completo silenzio.

Bellatrix, Lucius e Narcissa avevano la strana abitudine da quando avevamo 7 anni di stare fuori casa per una settimana almeno una volta per ogni vacanza: nelle vacanze pasquali, nelle vacanze natalizie, nelle vacanze estive e così via, forse lo facevano sperando che io e draco facessimo pace con l'anima ed iniziassimo ad andare d'accordo, ma non fu mai così.

Durante le giornate, oltre ad annoiarmi a morte, riordinai tutta la biblioteca padronale e scoprii degli scaffali pieni zeppi di diari antichi degli antenati Malfoy e Black (prima o poi ci avrei curiosato), mi diedi alle pulizie della mia stanza e quella fu la prima volta che essa fu così ordinata, inutile dire che mi creava parecchio fastidio, provai a cucinare con Pixie un paio di volte, ma ne uscirono solo cibo bruciato e padelle sciolte, quello non era decisamente il mio campo, insomma, provai il possibile per non passare le giornate in monotonia ma ovviamente non ci riuscii.

Uno degli ultimi giorni in cui ero obbligata a stare in casa con Draco, mi venne l'idea di aprire l'album di fotografie dei miei genitori.

Alzai il tappeto da terra e lo arrotolai su se stesso, bussai sulle assi di legno e quando trovai l'asse che sembrava essere vuota, la sollevai ed essa rivelò un grande libro di legno che portava incise su di esso le lettere 'R.C.M', alias 'Rodolphus. Celine. Morgana'.

Sollevai il vecchio album e soffiai sulla sua superficie impolverata, lo aprii con delicatezza ed iniziai a sfiorare le pagine.
In esse erano raffigurati i volti delle due persone più belle che avessi mai visto, mia madre Celine aveva gli occhi del colore della natura, verdi, un tono chiaro ed elegante che le si addiceva perfettamente, le guance rosee e le labbra carnose e rosse leggermente schiuse esattamente come le mie, il naso alla francese, le gote costellate da piccole stelline marroni e i capelli che le ricadevano leggeri sul volto di un colore ambrato molto chiaro.
Il suo viso era contratto in un'espressione di concentrazione nel tentativo di scorgere i particolari di suo marito, mio padre, i suoi capelli erano neri, gli occhi del medesimo colore, un naso proporzionato e delle labbra grandi e morbide, sorrideva nel vedere il volto di sua moglie così concentrato, mentre la sua mano era appoggiata leggera al mento dell'amata.
Avevo guardato quella foto per ore, giorni, settimane, era pura ossessione, una droga, un piacere per gli occhi; allo stesso tempo però mi arrivava sempre una bastonata al cuore, sapere di essere stata la ragione per cui quell'amore così forte si era spento era come morire.

Il mio viso era un mix dei loro tratti: gli occhi di papà, le labbra e le lentiggini della mamma, il sorriso di entrambi, la leggerezza della mamma e l'energia di papà, una sola cosa però era fuori posto in me, il colore dei miei capelli.

Alla nascita il mio colore di capelli era il nero, come quelli di mio padre, ma quando mia madre si spense a causa di una maledizione del sangue che le avrebbe impedito di avere una progenie a costo della vita, i miei capelli si tinsero in ciocche nere e rosse, rosso fuoco, rosso sangue, proprio come il nome della maledizione che mi fece diventare orfana di madre.
Da quel momento mio padre si prese cura di me in qualsiasi modo possibile, mi ripeteva sempre che io ero il sigillo dell'amore della mamma e del papà e che mi avrebbe protetta a qualsiasi costo.

Quando mio padre venne ucciso avevo solo 5 anni, vidi il suo corpo inerme guardarmi con occhi spalancati mentre io mi nascondevo all'interno di un armadio e guardavo degli uomini ucciderlo a sangue freddo da un piccolo spiraglio, prima di morire mi sussurrò con uno sguardo addolcito "jusqu'à ce que nous nous revoyions", non avevo idea di cosa significasse finché un giorno mentre studiavamo il francese assieme a Cissy, tradussi la frase e svenni dal dolore.

'Finché non ci riincontremo'

Tatuata nel mio cuore, nella mia anima e marchiata sulla mia pelle; guardai lo specchio ed alzai la maglietta che mi ricopriva il fianco fin quando non scorsi la scritta in francese sul costato, una frase così innocente ma che aveva distrutto tutto ciò in cui credevo, che aveva distrutto il mio cuore, tante, tante, tante volte ancora e che continua a farlo.

Chiusi l'album con un tonfo sordo, poggiai l'asse di legno al suo posto e la ricoprii con il tappeto, mi alzai e mi allontanai da quella stanza.
Non avrei pianto, non di nuovo.

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