Capitolo VI - Finale Parte Uno

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Mio padre diceva sempre che ogni uomo ha un diavolo dentro e non ha pace finché non lo trova.

Forse è così, questo vuoto che ho dentro che mi divora dall'interno verso l'esterno è il Diavolo, giunto per riscuotere ciò che gli ho promesso.

Erano passate diverse settimane da quel giorno in chiesa, gli animi del villaggio erano ormai calmi, come se i cittadini fossero rassegnati da tutto ciò che era successo in questi sei mesi del mio arrivo a Wookey Hole.

Intanto, restavo inerme a fissare i campi dalla finestra della mia umile stanza alla ricerca d'idee, ma in realtà ero ormai giunto al termine.

Ho fallito, la mia razionalità è stata piegata dagli avvenimenti che mi hanno segnato per il resto dei miei giorni. Anche le persone che avevo conosciuto in questo luogo remoto della terra, mi hanno abbandonato lasciandomi solo con la mia anima.

I miei giorni trascorrevano con lunghe passeggiate nella foresta con la speranza che potessi ritornare sui miei passi, ma in realtà anch'io mi ero arreso, proprio come questi contadini.

Finché, una fredda mattina mentre passeggiavo per la foresta vidi qualcosa... Una piccola casa nascosta nel cuore della foresta che non avevo mai notato in questi mesi.

Mi avvicinai prima alla finestra per cercare di capire se ci fosse qualcuno all'interno, ma mentre i miei scrutavano attentamente un gatto nero comparve all'improvviso dinanzi ai miei occhi.

Il sangue divenne gelido e feci un balzo all'indietro

«maledetto gatto!»

Presi tutto il coraggio che avevo in corpo e con area decisa mi avvicinò alla porta, era aperta

«C'è qualcuno? Sono l'agente William»

La porta era una di legno, massiccia, all'antica. Dava sul salotto, un'ampia stanza buia con al centro una rampa di scale, arredata alla vecchia maniera con antichi mobili.

Nella parete a destra c'era un grande arco che si affacciava alla cucina inutilizzata da molto tempo. Ogni cosa era al suo posto: forno, tavolo per mangiare, mensole e c'era addirittura il cibo anche se si vedeva chiaramente che era scaduto da molto tempo.

Nell'aria c'era una puzza insopportabile facevo fatica addirittura a respirare, probabile che derivava dal cibo ormai marcio.

Mentre salivo le rampe di scale del salotto, c'era un ingresso arredato solo con qualche quadro nel quale c'erano raffigurati un uomo, una donna probabile che fosse sua moglie e infine, un bambino.

C'era un corridoio lungo e tenebroso. Una porta si affacciava al bagno, mai utilizzato e pieno di ragnatele. Alla fine del corridoio c'era una piccola porticina, rimasi lì fermo per qualche istante a guardare quella porta.

Avevo l'impressione che ci fosse qualcosa o qualcuno che mi stava osservando dalla serratura, come se mi stesse aspettando.

Un brivido lungo la schiena mi percorse tutta la spina dorsale provocandomi i brividi, mi feci coraggio e iniziai ad avvicinarmi molto lentamente.

Finché non giunsi dinanzi a quella porticina di legno, appoggiai la mano sul pomello ricoperto di polvere e mentre aprivo la porta uno scricchiolio sentì al piano di sotto, ma ciò non mi fermò e aprì completamente la porta, quello che vidi mi lasciò senza parole.

Non era una comune stanza, come quelle cui siamo abituati a vedere. Non aveva mobilio al suo interno, a parte un tavolo di legno posto al centro della stanza, né finestre si aprivano sulle sue pareti spoglie.

Il pavimento era rozzo, grigio, e il soffitto appariva maculato da muffa e umidità. In terra c’erano macchie scure, che non riuscivo a comprendere cosa fossero. Ma ciò che attirò la mia attenzione fu quel tavolo sul quale poggiavano diversi barattoli e bottiglie piene di sangue, all'interno di queste c'erano "souvenir" collezionate direttamente dal corpo di esseri umani (denti, unghie, occhi e orecchie).

Ero immobile dinanzi a quello schifo, un nodo alla gola mi impediva di respirare regolarmente e un odore insopportabile circolava nell'aria. Rimasi immobile a fissare quei barattoli, così dal nulla ero giunto nella casa del killer e proprio dinanzi a me c'erano tutte le sue vittime o meglio parti di loro.

Mentre restavo lì inerme dinanzi a tutto ciò, dal piano di sotto lo scricchiolio si fece sempre più insistente, lentamente voltai la testa verso la direzione della porta che avevo lasciata aperta. In quel lungo corridoio che si interponeva tra la stanza e il restante della casa, proprio dietro al muro... C'era un bambino!

Mi si era raggelato il sangue nelle vene, iniziai a impallidire e i brividi percorrevano ogni singola parte del mio corpo. Il cuore iniziò a battere sempre più forte, sembrava che da un momento all'altro potesse esplodere. Cercai di alzarmi, ma le gambe erano come se fossero atrofizzate e il respiro si fece sempre più affannoso, ma nonostante ciò l'avevo visto, era là, a guardarmi con quei suoi enormi occhi neri. Solamente il viso e le sue mani fuoriuscivano dalla sporgenza del muro che dava sul corridoio, quelle piccole dita prive di unghie. Poi d'improvviso sparì, scappò verso il piano di sotto, ma sentivo il rumore dei suoi passi, intanto mi rialzai e iniziai a dirigermi verso di lui non so quale motivazione mi spingeva a farlo. Mentre mi avvicinavo alla rampa di scale e scendevo lentamente ogni singolo gradino, sentii la sua voce, all'inizio parlava sottovoce poi man mano che mi avvicinavo il volume della sua voce aumentava. D'un tratto un silenzio divampo in casa, finché non interruppe quel momento canticchiando una filastrocca.
«Scappa, scappa monellaccio
se no viene l’uomo pazzo
col suo lungo coltellaccio
per tagliare a pezzettini
proprio te!»

Nel frattempo che ripeteva quella filastrocca continuava a muoversi ovunque, ma non riuscivo mai a capire dove fosse. Finché non lo vidi era la davanti a me girato di spalle che giocava con una bambola di pezza, mentre canticchiava quella filastrocca raccapricciante.

«Stai bene?»

Chiesi al bambino mentre mi avvicinavo lentamente, ma lui continuava a canticchiare e a giocare.

«Chi ti ha rinchiuso qua? Perché non sei con gli altri bambini al villaggio»

Ero a pochi centimetri da lui, appoggiai le mie mani sulle sue esili spalle per farlo voltare, quando si girò quegli enormi occhi marroni che avevo visto precedentemente non c'erano più.
Non riuscì a resistere dal disgusto forte che mi provocò quella scena, iniziai a vomitare.

«Sei stato tu, sei tu il killer».

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