Parole sagge

30 7 5
                                    

Non potevo credere a ciò che stavo vedendo. Remiel mi era davanti, dietro il bancone, con una mano sul collo dell'uomo accanto a me.
I suoi occhi erano più infuocati di quelli di quel bastardo ubriaco, leggevo la rabbia in essi.
Recuperando la stabilità e sentendomi oramai al sicuro, osservai il colorito dell'uomo diventare violaceo e capii che stava soffocando. Gli avrebbe davvero fatto del male se non lo avessi fermato.
«Remiel lascia stare!» Mi sforzai di dire. Per quanto volessi davvero con tutto il mio cuore vedere quel viscido ridotto in milioni di piccoli pezzi, non potevo permettere a Remiel di finire nei guai per me.
«Lascia stare, Remiel!» Ripetei, alzando il tono.
«Lascio stare?» Rise irritato, non allentando la presa. Guardò il vecchio ubriaco e ripeté la domanda, questa volta rivolgendosi a lui.
L'uomo non riusciva a parlare, ovviamente. Cercava soltanto di dimenarsi dalla presa di quel ragazzo così alto, possente e forzuto che stava impedendo all'aria di infiltrarsi nei suoi polmoni. Ci provava, ma invano. Sembrava che Remiel fosse milioni di volte più forte di lui.
«Remiel!» Quasi gridai, in preda al panico.
Questa volta non avevo paura per me, avevo paura per lui. Una tremenda paura che continuasse a stringerlo fino al soffocamento. Non lo avrei biasimato, lo avrei fatto anch'io, ma non mi sarei perdonata le conseguenze.
Vidi lui allentare la presa e avvicinarsi sempre di più all'uomo che teneva bloccato.
«Stammi a sentire mezz'uomo del cazzo» Iniziò, rivolgendosi nuovamente a lui. Mi vennero i brividi.
«Vattene immediatamente di qua o giuro che passerò i prossimi anni della mia vita a scontare l'ergastolo e lo farò con sorriso e con fierezza, senza alcun problema.»
Finalmente lo lasciò andare strattonandolo al di fuori del bancone. L'uomo si toccò il collo con aria totalmente terrorizzata e corse via con la velocità di una lince, non togliendo gli occhi di dosso dal corpo di Remiel, posizionato ancora davanti a me.
Quest'ultimo aspettò di vederlo scomparire del tutto e successivamente si voltò piano verso di me, che non resistendo lo abbracciai con tutta la forza che possedevo.
Ricambiò stringendomi con altrettanta forza, posando il suo mento sulla mia nuca. Mi sentii come una bambina protetta tra le braccia del proprio padre... e pensai a quanto mi mancasse il mio papà.
«Avresti potuto metterti nei guai.» Pronunciai quasi sussurrando.
«Non mi sarebbe interessato. Le donne non si sfiorano, Eve. Specialmente alcune.»
Delle lacrime salate iniziarono a calarsi lungo le mie guance ed io cercai di nascondere il viso che finiva poco più in alto dell'inizio del suo collo, affondandolo in esso. Inalai il profumo dolciastro che indossava e riuscii a calmarmi , anche se solo di poco.
Scossa dalle mille emozioni provate in quei pochissimi attimi, singhiozzai, e purtroppo se ne accorse.
«Ehi, piccola Eve...» Mi richiamo dolcemente, accarezzandomi i capelli. «Va tutto bene. È passato, d'accordo?» Cercò di rassicurarmi. Non riuscii a parlare, ma apprezzai profondamente tutto l'affetto che continuava a darmi.
Sospirai riuscendo a fermare le lacrime quando mi afferrò il viso, allontanandolo dal suo corpo.
«Eve, guardami.» Quasi mi costrinse, alzandomi il mento nella sua direzione. «Ci sono io, ora. Con me non avrai problemi. Tranquillizzati.»
Annuii e lo feci per davvero.
Mi staccai da lui passando velocemente una mano sulle guance umide quando sentii la porta aprirsi nuovamente.
Erano Zed e Lucas, che guardarono con aria confusa il ragazzo di fianco a me.
«Va tutto bene?» Domandò Lucas a me, avvicinandosi.
Io annuii e Remiel fece qualche passo indietro, pochi da rimanermi vicino ma abbastanza per scendere dal bancone.
«Tutto ok, capo. Mi perdoni.» Cercai di scusarmi per le mie condizioni poco presentabili e per la presenza di Remì, ma proprio quest'ultimo intervenne.
«Capo? Quindi è lei il capo?» Domandò. Il suo tono era strano, quasi irritato, ed inizialmente non ne capii il motivo.
«Sì, sono io.»
Remiel sorrise ironico. «Bel capo del cazzo.» Esclamò mantenendo l'espressione. Io congelai.
«Remiel!» Lo chiamai cercando di farlo tacere. Che Diavolo stava facendo?
«Chi ti credi di essere, ragazzino?» La voce di Zed si tramutò in rabbiosa.
«E voi cosa vi credete di essere?! Lasciare il locale nelle mani di una ragazzina, da sola, senza la minima idea di autodifesa?! Sa' caro capo, appena entrato l'ho trovata in una situazione che sarebbe potuta finire davvero male per lei. Un vecchio ubriaco del cazzo a cercato di picchiarla, e questo perché? Perché voi finti competenti sapete agire solamente con il vostro culo di merda.»
Lo vidi deglutire e assumere le sembianze di un cerbiatto dinanzi ad un leone. Fossimo stati in un cartone animato le sue dimensioni sarebbero divenute quasi invisibili per la vergogna.
Non parlai, ma poggiai una mano sul braccio di Remiel in segno di ringraziamento. Nonostante volessi, non sarei mai riuscita a farlo e volevo che capisse che glien'ero veramente grata.
«Eve, io...» Cercò di parlare Zed, ma sembrò non trovare le parole.
«Faccia silenzio, sicuramente fa' più bella figura.»
«Eveline, mi dispiace.» Mi si avvicinò Lucas, posandomi una mano sulla spalla. «Hai bisogno di prenderti dei giorni? Vuoi un aumento sullo stipendio? Quello che vuoi, Eve, davvero.»
Dei giorni di riposo non sarebbero stati affatto una tortura dopo quello che era successo. Avrei potuto accettarli.
«Io direi entrambi.» Mi superò Remiel.
Ormai non cercavo neanche di fermarlo; tutto ciò che usciva da quelle labbra per me andava bene.
Inaspettatamente accettarono, permettendomi di lasciare il posto anche in quel momento, data la loro presenza. Naturalmente accettai, e con finto rammarico uscii dal locale in compagnia di Remiel, che con nonchalance afferrò un pacchetto di patatine e lo portó con sé. Non lo biasimai, anzi, scoppiai in una grassa risata una volta fuori.
«Sali, ti do un passaggio.» Disse schietto. Dal suo tono capii che non c'era il minimo accenno di domanda. Sembrava mi stesse obbligando, e al contrario del solito la cosa non mi dispiacque. Ma la mia auto era lì, dall'altra parte della strada, pronta a portarmi a casa sulle sue ruote.
«Non preoccuparti, ho la macchina, sono in grado di arrivare a casa.» Lo avvertii, ma sembrò non importargliene.
«Lo so, non ti avrei portata a casa tua, infatti.»
Corrugai la fronte confusa. «Che cosa?»
«Vuoi continuare a fare domande o puoi fidarti di me?»
Pensai che forse, dopo quello che aveva fatto per me, avrei dovuto iniziare ad ascoltarlo di più; dunque accettai il passaggio, promettendomi di passare a riprendere l'auto non appena avrei potuto.
Salii sul suo veicolo color pece, dall'aspetto marcato ed intimidatorio. I suoi interni erano paragonabili a quelli di una Limousine, così perfetti ed eleganti che mi tolsero il fiato. Iniziai a pensare che fosse una delle auto più belle sulla quale mi ero mai trovata a sedere. O meglio, era l'auto con accanto la migliore compagnia sulla quale mi ero mai trovata a sedere.

REMIELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora