1 - Il primo incontro

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Giorno uno

Cloe

We'd lay on the grass all day talking
'Cause we snuck out of class when no one was watching
I remember you and me
Yeah, I remember everything

But lately I've been feeling strange
And everybody's telling me to act my age
I never thought that everything I had would fade away

Una pioggerellina leggera picchiettava insistentemente sulle finestre dell'appartamento, oscurate da sottili tende bianche. Il suono lento e persistente dello sgocciolio allietava la tranquillità di quel pomeriggio uggioso, che avevo deciso di trascorrere acciambellata sul divano, avvolta in una coperta soffice color cappuccino, in compagnia di una buona lettura e di una tazza di tè caldo.

Sfogliai una pagina del romanzo che tenevo appoggiato alle ginocchia come su un leggio, una copia di L'ultima notte della nostra vita dalla copertina di un acceso blu elettrico, portandomi il tè speziato all'arancia alle labbra. Il profumo pungente della cannella invase i miei sensi. Cosa mi serviva di più? Un libro, una coperta morbida e il rumore soave della pioggia: era tutto così placido e calmo, tutto così perfetto. Ogni cosa sembrava essere al posto giusto.
Proseguii la lettura del capitolo, spostando gli occhi su ciascuna delle lettere stampate in Times New Roman.

Vivi ogni giorno come se fosse una vita intera.

I miei occhi si soffermarono su quella frase. Era quello che stavo facendo? Scossi la testa, le ciocche castane sfuggirono allo chignon spettinato. Stavo forse sprecando gli anni migliori della mia vita, lasciando scorrere inconsapevolmente tempo prezioso che avrei rimpianto nel giro di qualche anno, quando forse avrei stretto tra le mani un bicchierone di caffè seduta dietro lo schermo scuro di un portatile in un ufficio? No, mi dissi. Stavo godendomi il tempo come meglio sapevo fare. Sospirai, chiudendo il romanzo con un sonoro colpo.
Scostai le tende: la pioggia sembrava aver rallentato, mutando in una coltre bianca e silenziosa. Odiavo quella spruzzata fastidiosa, pareva che le nuvole non volessero decidersi. Ritenevo quello scroscio incerto una inutile perdita di tempo.
Mi alzai dall'angolo del divani, decisa a cambiare aria.

«Dove vai?» chiese mamma, girando un mestolo di legno in una pentola da cui proveniva un odore cremoso di purè di patate, che mi riportava ogni volta alla mia infanzia.

«Faccio un giro in centro. Non ho voglia di stare a casa tutto il pomeriggio.» spiegai, poggiando la tazza di ceramica a righe azzurre sul ripiano della cucina.

Mamma lasciò il cucchiaio in un piatto e si versò del tè, il rumore del liquido che cadeva nel contenitore sostituì il silenzio piatto della stanza. «D'accordo. Passa a comprare del latte, allora; potrebbe servire per preparare altro purè. A dopo, e vedi di non tornare a casa bagnata da capo a piedi.» acconsentì.

Annuii e la salutai con un cenno della mano. Abbottonai il maglioncino beige, allungandone le maniche sino a coprire le nocche infreddolite; indossai un cappotto color corteccia e infilai degli anfibi neri ai piedi. Quelle riflessioni incostanti mi avevano suggerito di uscire, per nulla scoraggiata dal maltempo. Afferrai un ombrello tascabile con un motivo a quadretti scozzesi neri e rossi e uscii, chiudendomi la porta di casa alle spalle.

Una decina di minuti dopo, stavo camminando sul lastricato marrone delle strade del centro del paese, coprendomi con l'ombrello: in quel momento, le nubi sembravano piuttosto arrabbiate, impressione suggerita anche dal fulmine che squarciò il cielo in due metà imperfette.

La natura ce l'aveva forse con noi esseri umani, mi chiesi? Non avrebbe avuto tutti i torti, in effetti. Niente andava più per il verso giusto, e il clima si stava ribellando ai comportamenti scorretti che erano stati adottati per molti anni, scatenando alluvioni e innalzamenti del livello delle acque, picchi di calore e violente grandinate.

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