4 - Una lettera imprevista

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Giorno trentuno

Cloe

I've been here for three nights
Forgetting what it used to be like
To sleep in and not hear you breathing
You life is so easy to be in
If we could just freeze time
Pretend that you have always been mine
The second I leave you, we're all done
Go back to pretending I'm no one

I'm wondering how
I'm everything and then nothing

Da quella volta, cominciai ad andare in libreria un giorno a settimana, ogni sabato. Aspettavo con ansia quel giorno. Ogni mattina, quando mi svegliavo, il mio primo pensiero era quanto tempo mancasse, e ogni volta mi chiedevo se non potessi far scorrere più velocemente le lancette dell'orologio.

Ci eravamo scambiati le email ed i numeri di telefono, ma non li avevamo mai utilizzati: preferivamo parlarci faccia a faccia, io acciambellata su quello che era diventato il mio divano, in libreria, e lui appollaiato sullo schienale, mentre giocava con le dita delle mani. Lo faceva frequentemente: schioccava le dita, con un fastidioso crock crock di ossicini; le tirava e le intrecciava sino a creare un nodo inestricabile. Erano gesti nervosi che gli avevo visto fare molte volte, ma ultimamente, mi pareva avesse smesso. Mi chiesi perché.

Sovrappensiero, mi incamminai sul sentiero lastricato in direzione della libreria. Indossavo un lungo cappotto sintetico a quadri bianchi e neri e una spessa sciarpa di lana perla avvolta intorno al collo: erano gli inizi di novembre, e cominciava a soffiare una brezza fredda e pungente sin dai primi bagliori dell'alba. Una nuvoletta di fiato costellò l'aria, la bucai con l'indice smaltato di bianco e diventò una effimera ciambellina chiara. Lo facevo da quando ero bambina, e continuavo anche ora che mi accingevo a varcare le porte del futuro. Forse a volte abbiamo soltanto bisogno di vedere il mondo con gli occhi di un bambino e ridere di sciocchezze, dimenticandoci per qualche istante dei nostri impegni.

Varcai per l'ennesima volta l'ingresso di vetro, sul quale campeggiava la scritta Open su un piccolo cartello rosso di legno sbiadito. Spinsi la porta ed entrai. Mi guardai intorno e, non vedendolo, decisi di dare un'occhiata ai libri per passare il tempo. Forse stava sistemando qualcosa nel ripostiglio o rifornendo la piccola sezione dedicata agli oggetti di cartoleria, e per uno di quei motivi stava tardando.

Sfilai un volume da un espositore e ne rimossi dalla costa un sottile strato di polvere, che si accumulò sul mio indice. La raccolta di poesie di Emily Dickinson. Erano trascorsi ventisette giorni da quando lo avevo tenuto tra le mani l'ultima volta, ed era stata lei a segnare il principio della mia amicizia con Alex. Si trattava di un libro speciale, ormai.

«Prendo questo, Eliza» dissi alla commessa sulla quarantina seduta dietro alla cassa, porgendole la copia. Il nome della poetessa, scritto in eleganti caratteri tondeggianti, campeggiava su uno sfondo floreale. Pagai e lo infilai nella mia tote bag. «Sa quando arriverà Alex?» chiesi, adocchiato una porta di legno scuro dietro alla poltrona della donna.

Mi rivolse un'occhiata imbarazzata, stringendo le labbra color ciliegia in una smorfia, e scosse la testa. «Mh, no, mi spiace.» Poi si sedette e proseguì la lettura di una vecchia e consumata copia dalla copertina rosa de L'eleganza del riccio.

Sospirai e tornai sul divanetto. Attesi per circa due ore, ma di Alex nessuna traccia. Ad un certo punto lo chiamai, ma gli squilli suonarono a vuoto. Quando il Sole iniziò a tramontare, decisi di tornare a casa e uscii con un'espressione sconsolata stampata in volto.

«Arrivederci», salutai Eliza con tono sommesso la cassiera.

Prima di tornare all'appartamento, feci un salto in una pasticceria francese della zona e comprai una girella alla cannella fumante. La carta nella quale era avvolta lasciava passare un tiepido calore, che riscaldò le mie mani infreddolite. Mi incamminai verso casa, addentando ogni tanto un morso della mia brioche. Piccoli frammenti di zucchero si staccavano dalla sua superficie, attaccandosi alle mie labbra. Un connubio di cannella e scorza di limone salì alle mie narici. Finii di mangiare il dolce e aprii la porta di casa con il mio mazzo di chiavi argentate.

La libreria dei sogni perdutiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora