Le persone cambiano

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22 Agosto 1940

Un rumore improvviso mi svegliò di soprassalto: sembrava un tuono. Nella mia stanza era talmente buio che non riuscivo nemmeno a mettere a fuoco il contorno degli oggetti. Barcollando, mi diressi ad accendere la luce per tranquillizzarmi ma non appena lo feci fui costretta a strizzare gli occhi per il forte fastidio.

D'un tratto però, sentii delle voci indistinte provenire dal piano inferiore, anche se inizialmente non riconobbi a chi appartenessero. Silenziosamente aprii la porta e scesi piano le scale per non fare rumore ed origliare la conversazione: mi fermai solo all'ultimo gradino nascondendomi dietro al corrimano.

«Mi dispiace signora Benoit, ho fatto il possibile» quella voce mi apparve sconosciuta.
«Non può essere dottore, deve esserci un rimedio, la supplico» era mia madre che singhiozzava come una bambina.
Solo allora compresi a chi appartenesse la voce maschile, si trattava del dottore Smith, l'uomo che aveva preso in cura mio padre qualche tempo prima.

«I polmoni non hanno reagito alla terapia, la malattia era troppo violenta, sono desolato» continuò lui dicendo quelle parole con una calma tale da farmi quasi impressione.
«Quanto gli rimane?» Chiese mia madre con un filo di voce dopo un tempo indefinito.
«Giorni, ore, non posso proprio saperlo mia signora»

Parlavano di mio papà? Di quanto tempo gli rimanesse da vivere? Ero confusa, confusissima. Vedevo papà nel letto da settimane ma ci era stato detto che si era preso solo una brutta influenza.

Uscii dal mio nascondiglio e mi diressi in soggiorno dove mia madre e il dottore stavano parlando. Non appena mi videro entrare nella stanza mia madre si asciugò velocemente le lacrime e mi sorrise.
«Tesoro, che ci fai già sveglia?»
«Mamma, come sta papà?». Mi limitai a chiedere risoluta, era tempo di sapere.

«Oh tesoro, ha solo una brutta febbre. Torna a dormire ora, domani devi svegliarti presto per andare a scuola». Fui inizialmente sollevata nell'udire queste parole, ma poi le parole dure del dottore mi rimbombarono in testa forti e chiare: non aveva detto che mio padre avesse un influenza.

«Mamma ho tredici anni, sono grande ormai. Devi dirmi al verità: come sta papà» dissi cercando di essere più sicura possibile.
Mia mamma non rispose a parole, ma un pianto disperato mi fece comprendere che mio padre non stava per nulla bene. Il dottore guardava la scena con la bocca serrata in una linea dura, nessuna emozione trapelava da quello sguardo serio.

«Ti vuole bene, Eloïse. Tuo padre ti vuole bene e così sarà per sempre, ricordatelo». Cominciai a piangere anche io, ma non un pianto normale, uno di quelli che fan bruciare la gola e il petto.

Quella mattina mi svegliai con il cuore che correva all'impazzata. Era successo di nuovo, avevo sognato quel brutto trauma che mi sarei portata dietro per tutta la mia vita: il giorno in cui avevo capito che mio padre se ne sarebbe andato per sempre e che io non potessi fare nulla per evitarlo. Mi toccai le guance e non mi sorpresi nel sentire del bagnato su di esse: stavo piangendo anche nella vita reale.

Cercai di riprendermi e di regolarizzare il respiro affannato, ma non ci riuscii prima di qualche minuto. Purtroppo quella scena era la protagonista dei miei incubi da anni ormai tanto da essermici quasi abituata. Non potevo dire lo stesso delle emozioni che provavo nel riviverla, perché quelle, ahimè, erano sempre dolorose.

Erano passati ormai dieci anni dalla morte di mio padre ma la sua mancanza, ancora ad oggi, talvolta era davvero insopportabile. Con lui morì anche la mia innocenza, la mia infanzia, di cui mi rimanevano solamente ricordi a cui mi aggrappavo per cercare di superare il lutto.

Boundless love - Amore senza confiniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora