La prima e vera settimana di lavoro allo Smith's Grove fu relativamente proficua per la psicologa del Maryland.
Michael si era attenuto al programma senza creare alcun problema, seguendo alla lettera tutto ciò che Lydia gli aveva proposto di fare.
Avevano fatto anche alcune sedute in cortile e l'uomo, nella sua inespressività, sembrava apprezzare queste camminate in sua compagnia.Questo è ciò che dedusse la psicologa dal modo in cui il suo paziente scriveva sul taccuino: la calligrafia rimaneva infantile, spigolosa e marcata ma, almeno, le sue risposte non si limitavano ai monosillabi.
Inoltre, le porgeva sempre il braccio per accompagnarla in quel girotondo di cemento e guardie, lasciandola solo quando voleva darle una risposta scritta sul quaderno.
La settimana successiva, invece, iniziò in modo particolare: la dottoressa chiese che il suo paziente venisse portato nella sala comune in cui venivano svolte le varie attività ricreative e, una volta arrivata anche lei, lo accompagnò al pianoforte.
Era un vecchio strumento il cui legno era ormai sbiadito, consumato e graffiato ma, per lo scopo della Daugherty, andava più che bene.
«Ti va di sentire qualcosa?» domandò Lydia accomodandosi sullo sgabello e facendogli posto.
In silenzio, lui si sistemò tenendo una coscia fuori dalla seduta in modo da lasciare più spazio alla dottoressa. In confronto a lui sembrava una ragazzina, nonostante rientrasse nella media come statura e corporatura.
«Ti avverto, non suono da un bel po'».Le dita piccole e delicate della donna si posarono sui tasti ingialliti che, collegati ai meccanismi interni, risuonarono delle note un po' stonate. Chissà, da quanto tempo, quel pianoforte non riceveva una manutenzione adeguata.
«Ho cominciato a prendere lezioni da bambina. I miei genitori erano un po' all'antica, non hanno voluto che facessi altre attività. Me la cavavo bene e mi piaceva.
Crescendo, ho coltivato altri interessi ma questa è rimasta una piccola passione».Lydia gli svelò questo dettaglio privato mentre suonava un pezzo di un autore di cui non ricordava il nome.
Era un brano lento e malinconico, neanche lei sapeva perché le sue dita avessero cominciato a intonare quelle note.Michael aveva comunque prestato attenzione al suo racconto e, nel frattempo, seguiva con l'occhio i movimenti leggeri delle mani della donna.
Dal vecchio pianoforte uscì, poi, un motivetto allegro e molto semplice nell'esecuzione.«Penso che dovresti imparare a suonare uno strumento. Non è il tuo caso ma, con i pazienti con gravi problemi psicologici, può essere persino riabilitativo. A te potrebbe essere d'aiuto per... rilassarti. Devi sentirti molto teso dopo tutto quello che hai dovuto passare».
Michael non aprì bocca, si limitò ad un lieve accenno con la testa e Lydia non seppe dire se fosse d'accordo sull'idea appena proposta o se davvero provasse quanto intuito.
Qualcosa doveva averlo turbato nella sua permanenza nella struttura, ma non lo aveva ancora rivelato. Oppure, era solo stressato dall'ambiente circostante, dal modo in cui era stato trattato in tutti quegli anni in quanto assassino.
Con due rapidi tocchi, Lydia portò a termine il branetto e scambiò uno sguardo con Michael prima che la loro attenzione venisse attirata da una paziente non molto lontana da loro.
La donna si era alzata in piedi applaudendo la psicologa, la quale la guardò e la ringraziò con un cenno della mano.
Si rivolse, poi, all'uomo. «Allora, ti va di provare?»Le mani di Michael, forti e ricoperte di svariate cicatrici, si muovevano goffamente sui tasti del pianoforte, guidati dalle indicazioni dell'insegnante di pianoforte "per un giorno".
Per essere la prima, quella lezione non era andata poi così male: Lydia era convinta che le doti di Michael sarebbero potute migliorare ulteriormente.Solitamente, era un gruppo di poliziotti a scortare il killer nella sua stanza al termine di ogni seduta. Questa volta, furono accompagnati da Samuel Loomis che aveva assistito agli ultimi istanti dei loro studi musicali.
Prima di congedarsi dal suo paziente, la dottoressa lo prese in disparte. «Come ti è sembrato, ti andrebbe di continuare?»
Michael aprì il quaderno e scrisse "Sì".
«Ottimo! Ne parlerò con Loomis, sono sicura che sarà d'accordo. Magari potremo dedicarci al piano una volta a settimana, vedrò di trovare qualche spartito. Ci vediamo domani, Michael».Le guardie lo portarono via e la donna si avvicinò al collega che non riusciva ad aprire bocca, tanto era meravigliato dalla scena a cui aveva assistito.
«In tutti questi anni,- riuscì, poi, a dire,- non avevo mai visto Michael mostrare un tale interesse. Certo, avevo capito che apprezzasse la musica ma non si era mai avvicinato a quel vecchio pianoforte, mai aveva provato anche solo a toccare un tasto».
«È stata una prova anche per me. Sarà un modo per smuovere qualcosa in lui, capire se riuscirà ad aprirsi un po' di più. E magari anche a parlare».
«È sempre stato un taciturno,- rispose Loomis scuotendo la testa,- non ricordo minimamente come sia la sua voce e, onestamente, non ci tengo neanche a sentirla».
«Un passo alla volta,- lo rassicurò Lydia.- Sa se c'è un negozio di musica in città? Pensavo di fare un salto domani dopo la seduta».Loomis ci pensò un attimo alzando gli occhi al cielo, poi annuì inarcando le sopracciglia. «Sì! Rimane proprio vicino alla scuola elementare».
La donna lo ringraziò per l'informazione datale e allora salutò il collega. Poco prima di andarsene, però, le venne in mente una cosa e si voltò di scatto richiamando l'attenzione dello psichiatra.«Ah, dottor Loomis, un'ultima cosa. Laurie Strode vive ancora a Haddonfield?»
Il volto dell'uomo si incupì al sentire il nome della ragazza ma asserì con la testa.
«Vorrei parlarle».𝑰𝒕'𝒔 𝒂 𝒅𝒂𝒚 𝒕𝒉𝒂𝒕 𝑰'𝒎 𝒈𝒍𝒂𝒅 𝑰 𝒔𝒖𝒓𝒗𝒊𝒗𝒆𝒅
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Hunter's Moon || Michael Myers
Random"Halloween" e "Michael Myers" è un accostamento di parole che ha terrorizzato Haddonfield, in Illinois, tra gli anni Sessanta e Settanta. Il sangue ha macchiato indelebilmente questa città e i suoi abitanti ma l'incubo sembra finito quando il dottor...