Black woman

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Dopo una settimana passata tra la mia camera e la cucina, Cassandra (mia madre) decise finalmente di dare un pò di attenzioni a sua figlia.
« Non dovresti passare le giornate in casa. So che il clima Irlandese non è molto stabile ma se non vuoi andare a mare, potresti fare un'attività al chiuso. Che ne dici? » mi disse una sera a cena.
« ehm, non credo di essermi ancora ambientata bene » risposi mentre addentavo una patatina fritta.
« Per tutti gli dei dell'Olimpo, Mia. E' passata una settimana da quando siamo arrivati! » urlò.
« Non saprei che fare...Non ho mai fatto nulla, in realtà » dissi, abbassando lo sguardo.
« Ci ho già pensato. Ti ho iscritto ad un corso di pittura organizzato da una mia cara amica, vedrai che ti piacerà » cambiando completamente umore, sorrise.
Per un breve istante riuscii a vedere la donna spensierata che era un tempo. Prima che mio padre morisse, a causa di un tumore, quando avevo 4 anni, mia madre era completamente diversa: premurosa, costantemente felice e, soprattutto, era stabile. Vivevamo a londra, in una villetta vicino Hyde Park, e quando lei era fuori per affari, mi lasciava con mio padre. Tutto il vicinato ci invidiava, perchè rispecchiavamo perfettamente la tipica famiglia felice...Finchè papà non morì, e da allora cominciarono i tanti traslochi.
« Ti dispiace se sparecchi tu stasera? Ho ancora del lavoro da sbrigare » concluse, uscendo dalla cucina.
Che novità! Tanto non ho nulla di meglio da fare.
Finii di pulire i fornelli e tornai, come al solito, in camera.
Accesi l'I-pod e mi buttai sul letto. Ero sicura che sarei aumentata di 10 kg continuando in quel modo, forse il corso di pittura non mi avrebbe fatto tanto male.

Quella mattina mi decisi a prendere l'autobus e scesi davanti una piccola bottega dove mia madre mi disse di entrare. All'interno c'erano pochi quadri appesi e una giovane signora, dalla pelle scura, dietro il bancone era intenta a cercare qualcosa sul computer. Appena mi vide, sgranò gli occhi.
« Oh, Mia! Quanto tempo è passato! » disse la signora che, uscita da dietro il bancone, mi abbracciò con le lacrime agli occhi. Cercai di ricambiare l'abbraccio ma mi stringeva così forte che non riuscivo a muovermi.
« Ehm, io non la ricordo... » dissi.
« Per carità, non darmi del lei! Sono Zalika. Quando vivevo a Londra possedevo il più famoso negozio di quadri della città e fu lì che conobbi tua madre. Aveva appena scoperto di essere incinta di te, ed era eccitata all'idea di andarlo subito a dire a tuo...Beh...Tuo padre » mi disse lasciandomi dalla presa. « Allora? Come ti sembra Galway? Cassandra mi ha detto che ti sei finalmente decisa a fare questo corso » continuò.
« Oh, beh. In un certo senso, si » risposi con un sorriso.
« Bene, bene. L'aula è da questa parte. Seguimi » disse, aprendo una porta alle mie spalle e da quella piccola bottega sembró aprirsi un mondo.
La sala era molto grande, aveva delle vetrate enormi da cui entrava, stranamente in Irlanda, molta luce, quel giorno. Il panorama era pazzesco: l'aula affacciava su un fiume e si vedevano tutte le case sull'altra sponda.
C'erano una quindicina di cavalletti, messi in cerchio, ognuno con una tela bianca, tavolozza e vari pennelli.
« I ragazzi del corso non sono ancora arrivati... » non riuscì neanche a finire la frase che entrò una ragazza. Aveva capelli lunghi, biondo ossigenato, e occhi azzurri, praticamente l'opposto di me: capelli neri, corti fino alle spalle e occhi verdi. Il suo fisico, esile ma non molto alto, era da invidiare, soprattutto da parte mia, che ero alta ma più corposa. Mi definivo semplicemente " paffuta ".
« Buon giorno, Mrs. Johnson » disse con un sorriso smagliante.
« Oh, Evelynn! Sei arrivata giusto in tempo. Lei è Mia, una nuova ragazza » rispose Zalika, indicandomi.
« Molto piacere Mia! » disse la ragazza, sempre con un sorriso a 32 denti.
« Ciao » dissi, sforzandomi di sorridere.
Pian piano l'aula si incominciò a riempire: i comuni mortali, come me, erano pochi, la maggior parte sembravano quadri di Picasso per come si erano vestiti. Un ragazzo pallido come un fantasma ed il trucco nero sugli occhi,se ne stava nel suo giubbino borchiato proprio dalla parte opposta alla mia; una ragazza che indossava più colori lei che l'arcobaleno, invece, sedeva alla mia sinistra, intenta ad allacciarsi le Converse gialle. Ci stavano così tanti ragazzi strambi che era difficile osservarli tutti dalla testa ai piedi.
Quando Zalika incominciò a parlare di anima e ispirazioni, vidi il ragazzo nella postazione accanto alla mia che, con grande concentrazione, cominciò già a dipingere. Teneva un pennello più piccolo tra i denti e un'altro, dalla punta più grande, lo lasciava scorrere sulla tela come se fosse la cosa più normale di questo mondo. 
Zalika, ogni tanto, tra una parola e un'altra, lo guardava con uno strano scintillio negli occhi. Che avessero una relazione? Lei era una bella donna, forse un pò troppo grande per lui, ma è probabile che al ragazzo piacessero donne più mature.
Sicuramente una ragazza qualsiasi lo avrebbe trovato molto attraente: capelli castani mossi, occhi verdi e un fisico scolpito che si riusciva a vedere anche da sotto i jeans e la camicia blu dalle maniche risvoltate. Forse era l'unico ragazzo in quella sala, la cui normalità si avvicinasse alla mia.
« Ora trovate la vostra ispirazione e...Dipingete! » disse la voce di Zalika, che mi riportò alla realtà. « Ah, dimenticavo. Oggi c'è una nuova ragazza, Mia » continuò, indicandomi.
Tutti i ragazzi del gruppo mi rivolsero un sorriso, per poi tornare con lo sguardo sulle loro tele.
E ora? Cosa potevo mai dipingere? Negli ultimi anni non avevo mai avuto mie ispirazioni, ma solo quelle di mia madre.
Cercai con lo sguardo quello di Evelynn che si trovava di fronte a me, ma era troppo impegnata a disegnare qualcosa, così guardai Zalika e mi accorsi che già mi stava fissando. Mi raggiunse alla mia postazione e, da dietro, mi mise le mani sulle spalle. « Ci sono problemi? » chiese, quasi sussurrando.
Si che ci sono problemi!
« Io...Io, credo di non avere...Ispirazioni » risposi sottovoce.
« Oh, mia cara, tutti abbiamo ispirazioni...Bisogna solo cercarle » e così dicendo mi accarezzò i capelli.
Il ragazzo accanto a noi ci guardò per un secondo, poi tornò alla sua tela.
La testa mi incominciò a girare facendomi perdere il controllo sulle mani.
« Scusami...Io...Devo andare » dissi infine e uscii dalla sala, cercando di non far rumore, lasciandomi tutto alle spalle.
Fuori l'aria era totalmente cambiata, il sole era scomparso e la pioggia incominciò a cadere.
Bene. "Stasera non avrò bisogno della doccia" pensai.

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