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If you like to gamble, I tell you I'm your man
You win come, lose some, all the same to me
The pleasure is to play
Makes no difference what you say

-Ace Of Spades, Motörhead

La prima volta che Tiziano mi chiese di scommettere la ricordo come se fosse ieri.

Avevamo cinque anni. Anzi no, io ne avevo cinque, lui ne aveva sei, compiuti da poche ore.

Siamo nati a un solo giorno di distanza, eppure lui ha un anno in più di me. Io il primo gennaio e lui il 31 dicembre dell'anno prima.

È stupido, ma questa cosa l'ha sempre fatto sentire come se avesse il pieno potere su di me, e forse un po' era così, ma non credo dipendesse dall'età.

Eravamo laggiù, appoggiati al tronco dell'albero più vecchio del parchetto comunale, e lui sosteneva che sarebbe riuscito a salire fino al primo ramo senza cadere.

Era impossibile secondo me; sarà che da bambino ero un po' fifone, ma quando gli illustrai le mie titubanze sulla possibile riuscita del suo proposito, i suoi occhioni azzurri si piantarono dritti nei miei e si accesero di qualcosa che non avevo mai visto in nessuno prima di allora, nemmeno nei miei genitori o nei bambini più grandi: era sete di vittoria.

Assurdo da pensare per un bambino che aveva quell'età, ma lui è sempre stato così: guai a dirgli che una cosa, forse, non sarebbe in grado di farla.

Si piantò davanti a me e mise le mani sui fianchi, poi strinse appena le palpebre e pronunciò la parola che ci avrebbe cambiato la vita per sempre:
«Scommettiamo?»

Le Scommesse SbagliateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora