10.

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And I thank you for bringing me here
For showing me home
For singing these tears
Finally I've found that I belong here

-Home, Depeche Mode

«Andiamo insieme da Mino, oggi pomeriggio?», mi domandò Tiziano un giorno, a ricreazione.

Mino era uno dei meccanici del paese, ma non il solito dove andava la sua famiglia.

Loro facevano tutte le cose uguali: avevano lo stesso medico di base, la stessa banca, lo stesso meccanico, lo stesso dentista. Non l'ho mai capita questa scelta, forse perché io e mio padre, invece, non avevamo impostato così le nostre abitudini.

«Perché da Mino?»

«Perché il motorino fa un rumore strano, non vorrei che mi lasciasse a piedi».

«Sì, ma perché da Mino? Di solito voi non andate da Libero?»

Tizio si grattò la testa. Lo faceva sempre quando era un po' in imbarazzo.
«Beh, suo nipote ha fatto tipo coming out, mio padre lì non ci vuole più andare», disse con lo sguardo puntato sulle sue scarpe.

Doveva sentirsi una vera merda a dire proprio a me una cosa del genere. La scuola era appena ricominciata e io avevo capito di essere gay solo qualche mese prima, proprio grazie a lui, tra l'altro. Figuriamoci quanto doveva essere in difficoltà a dirmi che il padre aveva voluto addirittura cambiare officina pur di non avere a che fare con un omosessuale.

Sorrisi e gli diedi una pacca sulla spalla.
«Tranquillo. Passo davanti a casa tua verso le quattro, andiamo insieme e torni con me, okay?»

Tizio alzò i suoi occhioni azzurri su di me e annuì, sereno, mi lasciò l'ultimo tiro della sigaretta che stavamo fumando e insieme tornammo in classe.

Mino era decisamente un rompicoglioni

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Mino era decisamente un rompicoglioni. Avrà avuto sui sessantacinque anni e la sua officina aveva sicuramente visto tempi migliori.

Non era un meccanico incapace, per carità, ma il resto del mondo era avanzato, e la concorrenza insieme a lui. Mino invece era rimasto ai vecchi metodi, alle vecchie strumentazioni e al buon vecchio trucco di farsi amico il cliente.

Ecco perché quel pomeriggio ci tenne lì con lui per quasi un'ora; chiacchiere su chiacchiere, tutte le diagnosi possibili e immaginabili su quel povero scooter e mille domande su chi fossero i nostri genitori.

Ma quindi sei il figlio di Albertone? Ma ho capito! Non abitate giù, nella strada dietro la chiesa? Ma sì, sì, che anche la tua mamma l'ho vista crescere! Io ero amico con tuo nonno. Ah, erano altri tempi quelli lì. E loro come stanno? Sarà una vita che non li vedo.

Nel frattempo io gli davo di gomito nel fianco e lui faticava a rimanere serio. Ogni domanda alla quale rispondeva creava lo spunto per un nuovo discorso, e la chiacchierata divenne talmente lunga che, a un certo punto, iniziai ad avere paura che avrebbe chiuso la saracinesca con noi dentro all'officina.

Le Scommesse SbagliateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora