38.

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Sono scomparso più dentro che fuori
Troppe memorie dal sottosuolo
E ho ritrovato la fotografia, io e te a Bologna ed un bicchiere vuoto
E l'ho riempito per dimenticare, dimenticare di esser morto a vent'anni
Dimenticare di averti amata, dimenticare di ricordarti
E siamo morti a vent'anni

-Morti a vent'anni, Il Cile

Dolore.

Ad occhi chiusi cercavo di concentrarmi per localizzarlo; era ovunque: bruciava, pulsava e graffiava. Prima di lasciarmi svenuto a terra, Alberto si era tolto lo sfizio di assestarmi altri due calci, uno sulla gola e l'altro in faccia, quello che mi mandò in black out il cervello. Chissà, forse aveva voluto ribadire chi comandava la vita di Tiziano, tra me e lui, oppure si era divertito a picchiare un altro po' quello che si era fatto scopare da suo figlio, facendolo diventare storto.

Non avevo il coraggio di sollevare le palpebre, ma sapevo di non essere più al vecchio frantoio.
Ero in un ambiente illuminato, e un odore fastidioso mi solleticava il naso.
L'odore tipico degli ospedali misto al suo.
Mi sforzai di aprire gli occhi e lo trovai lì, seduto sul letto a fianco a me, il viso bianco e l'espressione persa.

Quando i nostri sguardi si incrociarono, lui lasciò cadere una lacrima che si affrettò subito a cacciare via.

Come poteva essere lì, con me?
Magari era stato solo un sogno. Magari avevo avuto un incidente e mi ero immaginato tutto.
Il cervello a volte fa brutti scherzi, specialmente se è sotto stress o se subisce un evento traumatico, l'avevo letto tempo prima in un articolo.

Provai a dire qualcosa, ma un dolore lancinante alla gola me lo impedì.

«Non dovresti parlare. Non dovresti neanche muoverti, a dire il vero. Vuoi che chiami un'infermiera per dire che ti sei svegliato?»

Scossi la testa.
Non volevo nessun'altro lì, in quel momento.
Tiziano era con me, forse si era ribellato a suo padre, forse era scappato, forse aveva scelto noi. Non volevo nessun'altro.
Solo lui.

Mi lasciò una carezza sul viso, lo stesso lato che Alberto aveva colpito non so quante ore prima. Fu come stendere balsamo su una ferita.

«Devo andare via, Dome».
E tutto iniziò a girare.

Dove doveva andare? A preparare una valigia per venire con me, a Roma magari? A prendere le sue cose?

«Papà mi ha dato il permesso di venire qua solo per non coinvolgere la polizia. Aveva paura che tu parlassi, ma io lo so che non l'avresti mai fatto».

L'aveva chiamato ancora così, papà, come se avesse mai fatto qualcosa per meritarsi quell'appellativo. Papà, come se gli volesse bene, come se lo avesse perdonato, come se io non fossi finito in ospedale a causa sua.

«Non ti agitare. Noi due... Lo sapevamo, no? Non era... Non era niente, ti ricordi? Te l'avevo detto anche la prima volta».

Eravamo tornati indietro. Io e Tiziano eravamo di nuovo al punto di partenza.

«Ascolta, ho pensato che un periodo dove ognuno può stare un po' per i fatti propri secondo me ci farebbe bene. Stiamo sempre attaccati da quando avevamo zero anni, è normale che poi scambiamo l'amicizia con qualcos'altro, no?»

Lo notai solo in quel momento il livido sotto il suo occhio.
Spinsi col braccio per farlo alzare, poi feci lo stesso sul suo fianco per fare in modo che si girasse e gli alzai la maglia di colpo.
Lo presi alla sprovvista e gli ci volle un attimo per realizzare e spostarsi da me, coprendo al volo la pelle che luccicava ancora di sangue vivo.

Le Scommesse SbagliateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora