24.

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Certe notti ti senti padrone di un posto che tanto di giorno non c'è
Certe notti se sei fortunato bussi alla porta di chi è come te
C'è la notte che ti tiene tra le sue tette un po' mamma un po' porca com'è
Quelle notti da farci l'amore fin quando fa male, fin quando ce n'è

-Certe notti, Ligabue


Alla fine, come ogni volta, la mia rabbia nei confronti di Tiziano durò poco.

Fino alla mezzanotte, per la precisione, orario in cui sentii bussare alla finestra e decisi di farlo entrare in camera mia.

Suo padre era in ferie in quel periodo, quindi non riuscimmo a rivederci fino al 31 dicembre, ovvero la sera in cui avremmo festeggiato il nostro compleanno.

Era stata una giornata strana, per me, trascorsa senza che quasi me ne accorgessi.
Avevo deciso di stendermi sul divano per una decina di minuti, e quando avevo guardato l'orologio erano trascorse ore.

Il tempo era passato così, come se non lo stessi vivendo per davvero.

C'era qualcosa di diverso che aleggiava nell'aria, lo sentivo quasi scorrere nelle vene, sembrava l'incombenza di un cambiamento che avrebbe potuto distruggermi.
O farmi rinascere.

Aspettavo Tiziano nella piazzetta del vecchio cinema e quasi lo odiavo per questo.

Venire a casa mia avrebbe significato, per lui, uscire dal suo vialetto e andare verso sinistra; per la piazzetta, invece, imboccava la destra.

Neanche una cosa innocente come passarmi a prendere era stato libero di fare, perché suo padre avrebbe potuto insospettirsi.

Soffiai nelle mani chiuse a coppa e le sfregai tra loro, poi vidi un'auto svoltare nella mia direzione e fare i fanali, e d'istinto sorrisi.

Più la macchina si avvicinava, più la musica ovattata diventava chiara, e quando aprii la portiera mi sembrò di entrare direttamente in discoteca.

«Sei pronto a festeggiare?»

Risi e abbassai il volume per evitare che ci sgolassimo urlando.

«Ti conviene farci l'abitudine, a fine serata i tuoi timpani chiederanno pietà», disse gongolando.

«Dove stiamo andando, piuttosto?»

«Ah, questo non te lo posso proprio dire», strizzò un occhiolino e partì.

Il viaggio lo passammo a cantare canzoni in modo sguaiato e a ridere uno dell'altro per qualche acuto mal riuscito.
Non c'era niente da fare, eravamo troppo stonati.

Tizio fermò la macchina dopo quasi un'ora in un enorme parcheggio dove era stato difficile trovare un buco libero.

Ci incamminammo chiacchierando del più e del meno, raccontandoci di come avevamo passato quelle feste.

«Capirai, mia mamma ha organizzato il mega cenone come tutti gli anni. Gente in ogni angolo della casa e mai un minuto di silenzio. Ho avuto mal di testa per i due giorni successivi», scherzò lui, ma a me venne un po' una fitta al petto, perché un tempo ero stato anch'io uno degli invitati di sua madre.

E poi, all'improvviso, la sola idea di rientrare in quella casa mi aveva fatto venire la nausea.

«C'era anche tuo cugino Federico?», domandai.

«Ovviamente».

«E che passione ha, adesso?»

«Tasti del pc».

Scoppiai a ridere. Federico aveva qualche anno in meno di noi e un'intelligenza sopra la media, e ogni volta in cui l'avevo visto stava collezionando qualcosa di diverso.

Le Scommesse SbagliateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora