Capitolo 4

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Passai il giorno successivo al bar accanto alla reception, con gli occhi puntati sul cancello d'ingresso. Era domenica, e le chiesa accanto all'albergo aveva ingombrato la strada con una miriade di giovani cristiani tornati a messa per la prima volta dopo l'estate. Ma sapevo che avrei riconosciuto la sua andatura anche fra tutti quei ragazzi, avrei distinto il suono leggermente roco della sua voce.
Eppure lei non passò. Non capivo perché quella donna scatenasse tutte quelle apprensioni da parte mia. Accesi la prima sigaretta della giornata mentre mi avviavo verso il parco sul retro, ora zeppo di bambini piccoli accompagnati dai genitori. Che inutile specie i genitori. Ottimi se si tratta di difendere i propri figli, che siano uomini illustri o assassini, ma completamente incapaci di difendere l'integrità della società del futuro. Rimasi lì ad aspettare che tutti tornassero alle loro tavole per il pranzo, ritorno forse anticipato dal disgusto che il mio fumo disegnava sulle facce degli adulti preoccupati.
Quando si alzò il vento, sferzandomi il viso con la sabbia che lasciava la spiaggia per poggiarsi sui davanzali delle finestre, decisi di tornare al mio letto sfatto. Non pranzai, il mio corpo non mi gratificava nonostante i continui complimenti di Roberto per la mia vita stretta e le gambe allungate. Ma nessuna dieta aveva mai funzionato, se non il digiuno. E ancora sovrappensiero finii per addormentarmi proprio sul bordo del letto.
Mi sveglia a terra, con la faccia all'altezza dei libri di grammatica e letteratura. Provai a sollevarmi sui gomiti con qualche difficoltà. Sentivo le gambe dolermi come se quell'incubo fosse stato reale. Avevo sognato me da bambina con i miei compagni di scuola che mi schiaffeggiavano all'angolo e prendevano a calci le mie gambe, finché una ragazzina dai capelli corti e neri si avvicinò per farmi alzare e portarmi via da quella tortura.
Controllai la sveglia, non sarebbe suonata prima di un'ora e un quarto, avevo dormito tantissimo. Decisi di cominciare a prepararmi, svuotando completamente l'armadio per cercare un abbinamento adatto al primo giorno di scuola.
Non avrei potuto indossare i miei soliti pantaloncini larghi fino al ginocchio e la canotta bianca lunga, perciò optai per qualcosa di fin troppo elegante. Almeno mi sarei fatta insultare con stile.
Baciai la fedina che avevo scambiato col mio fidanzato diversi mesi prima e la appoggiai in una scatolina sul comodino. Non la portavo mai con me, per paura di perderla e per il fastidio che mi causava averla al dito.
Arrivai a piedi al plesso un po' in periferia, accorciando per una lunga scalinata sempre sederta. L'unico elemento che dimostrava fossi una donna e non un uomo trasandato era la borsa grande e scura portata a tracolla per portare i libri di testo. Attraversai sperando di non essere notata dai primi alunni che stavano arrivando, che in ogni caso non mi avrebbero salutato, e varcai il cancello bianco e sporco della scuola. Il tacco basso dei miei scarponcini batté ritmicamente sulle mattonelle in pietra nell'atrio finché i miei occhi non incrociarono una sagoma conosciuta attraversare il lungo corridoio che portava in aula docenti.
Sperai solo che il gruppo di studenti non avesse notato le mie gambe tremare e le mie braccia lasciar cadere il borsone a terra.

Non mi spaventa nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora