Capitolo 10

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Credo fossero le sei quando mi liberai finalmente della camicia, vestendomi con la comoda tuta scura. Provai a fare qualcosa che potesse distrarmi, ma riuscivo solo a portare la mano al petto e sentire il cuore battere forte. Ripercorrevo ogni momento del pomeriggio, pensando a cosa sarebbe potuto accadere se avessi agito diversamente, ma sapevo che nulla avrebbe mai superato l'intensità di quell'incontro.
Portai una mano al pacchetto sulla cucina e con un gesto fin troppo naturale sfilai una sigaretta senza filtro. Mi bloccai al contatto freddo della carta. Sorrisi un po', come se ci fosse stato davvero qualcuno a vedermi mentre mi imbarazzavo. Glielo avevo promesso.
Rinserii la sigaretta nel pacchetto, gettando quest'ultimo su un basso scaffale dell'armadio. Ne avevo di diversi tipi, e i colori di quelle stecche davano un po' di vivacità ad un armadio triste e grigio.
Mi sedetti su una sedia accanto alla cucina del bilocale e fissai la parete bianca, adornata solo da un calendario dell'anno precedente. A braccia conserte pensai al mio passato, alla mia vita senza un padre e al mio uomo. Frugavo in ogni ricordo alla ricerca di una spiegazione, ma non trovavo nulla. Vedendo ogni mio tentativo venir vanificato da quell'insopportabile senso di smarrimento mi alzai e mi gettai sul letto poco distante. Avevo i muscoli intorpiditi da tutte quelle emozioni e, come avevo fatto il pomeriggio precedente, collassai in un sonno profondo.
Il risveglio fu brusco e doloroso, ma i sogni non avevano affatto disturbato il mio riposo. Delle dita sottili accarezzavano il mio viso, e nel sonno pensai solo a godere quel delicato massaggio verso ogni parte del corpo. Solo una volta sveglia capii di aver sognato mani di donna. Probabilmente ricordavo male, perciò mi alzai, mi preparai e corsi verso la scuola nonostante mezz'ora di anticipo.
Avrei dovuto guardare la strada prima di attraversare, ma distrattamente preferii lanciarmi oltre il marciapiede. Non mi accorsi di un'auto, doveva essere parcheggiata lì poiché rasentava il bordo del marciapiede che portava al mio hotel, e rischiai di essere investita. Feci un balzo in avanti, trovandomi al centro della strada.
Mi voltai pronta ad inveire contro un tale scellerato, ma riuscii solo ad udire il rombo di un motore non avvezzo a certi sforzi e un'auto grigia dalla carrozzeria sporca di fango sfrecciare lontano.
Mi ripresi dallo scampato incidente e cominciai a camminare, con la consapevolezza di non voler ammettere di conoscere bene quell'auto. Raggiunsi la scuola pochi minuti prima degli altri, l'inconveniente con quella sottospecie di pirata della strada -mi costringevo a negare ciò che al mio cuore sembrava evidente- mi aveva tolto diversi minuti. Dopo poco arrivarono tutti, persino Lucio che solitamente entrava alle 8:45 in classe. Tutti tranne lei.
Approfittai delle chiacchiere mattutine fra docenti su come fosse andata la domenica per chiedere dove fosse "quella nuova".
-Beh dovresti estraniarti meno in aula docenti, lo avrà ripetuto tantissime volte che il martedì è il suo giorno libero- mi rispondette acida la collega di religione, se collega poteva definirsi una nullità del suo calibro.
Realizzai poco dopo ciò che aveva detto. Rosanna non aveva fatto alcun accenno alla sua giornata libera. E poi che schifo di giorno il martedì. Mi affrettai verso l'aula della 1^A, ma un lampo folgorò la mia mente, come se quella consapevolezza diventasse un lancinante dolore.
Era la sua giornata libera, e c'era un'auto grigia sotto casa mia. No, c'era la sua auto grigia sotto casa mia.

Non mi spaventa nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora