La seconda arena di gioco si trovava in un edificio simile ad un hotel, ma più tetro.
Quando arrivammo lì, quella notte, c'erano già parecchie persone nel corridoio d'ingresso, e tutti gli sguardi si puntarono su di noi. Avevano tutti un'aria rassegnata, gli occhi spenti, o terrorizzati, ma comunque succubi del corso degli eventi.
Li capivo, la situazione era angosciante, ma decisamente nessuno aveva l'aria di essere un medico utile alla nostra causa.
Un ometto basso e stranamente allegro ci raggiunse, presentandosi e togliendosi il cappello elegante che portava, in segno di rispetto. Era decisamente un tipo strano, ma ci diede un'informazione in più; il simbolo presente sulla carta che rappresentava il gioco, indicava un genere diverso di gioco.
I game di fiori si basavano sulla cooperazione tra i giocatori, e per uscirne era fondamentale saper usare l'astuzia, e che le capacità di ognuno fossero ben bilanciate, come infatti era accaduto nel primo gioco a cui avevamo preso parte.
Vi erano poi game di cuori, i più spietati perché basati sull'aspetto psicologico e quindi più debole di tutti i partecipanti, spinti quasi sempre a tradirsi l'un l'altro pur di sopravvivere.
I game di quadri erano legati esclusivamente alle capacità intellettive dei soggetti, quindi l'unico modo per superarli sarebbe stato risolvere gli enigmi e non dare risposte errate, nonostante l'elevata difficoltà dei quesiti imposti.
Ed infine, il quarto simbolo, picche, rappresentava i game basati sulla forza fisica.
Il nostro gioco di quella notte corrispondeva ad un grado di cinque di picche, stando alla carta presente davanti a noi.
Mentre l'ometto ci istruiva sui dettagli di quel sistema, non potei fare a meno di studiare le varie caratteristiche degli altri giocatori presenti in quel corridoio. Come ho detto, la maggior parte di loro aveva solo un'aria terrorizzata, angosciata, ma comunque, in qualche modo, speranzosa.
In un angolo, notai un ragazzo che pareva estraneo alle sensazioni di tutti gli altri.
Fissai il mio sguardo su di lui e ne analizzai i tratti principali, incuriosita da quella sua aria di mistero; indossava una felpa bianca col cappuccio tirato sulla testa, dal quale fuoriuscivano i lunghi capelli bianchi. Il suo viso era appena visibile, puntato verso il basso, e la sua testa si muoveva impercettibilmente ad intervalli regolari, come se seguisse un ritmo, ma non era un movimento percepibile da chi non lo stava fissando, come invece stavo facendo. Era appoggiato ad una colonna portante, e notai che delle cuffiette partivano da una sorta di piccola radio dietro di lui, per poi sparire sotto al cappuccio.
Stava davvero ascoltando musica in una situazione simile? Com'era possibile che qualcuno fosse tanto disinteressato, trovandosi nella posizione di poter morire con una così alta percentuale?
Mentre lo fissavo sbalordita, la sua testa si alzò gradualmente, e mi trovai a fissarlo dritto negli occhi. Non distolsi lo sguardo, non perché mi importasse di fare la dura con uno sconosciuto mezzo matto, non certo per improvvisare una gara di sguardi. La verità è che non potevo distoglierlo, perché in quel momento fui rapita da quei suoi occhi saccenti; il suo sguardo sprigionava sicurezza, scherno, quasi divertimento. Era come se si prendesse gioco di me per avermi beccata a fissarlo, ma allo stesso tempo se lo aspettasse pienamente, e di conseguenza non gli provocasse alcun turbamento.
Guardandolo, mi sentii quasi sicura. Non sapevo come spiegare quella sensazione, ma i suoi occhi sembravano dire; "beh, di cosa ti preoccupi? Agitarti non farà che peggiorare la situazione, in fondo il segreto sta nella certezza". Per qualche motivo, era come se li sentissi parlare.
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the border between us - Chishiya
Fiksi PenggemarNon cercavo un supporto, né fisico né morale. Avevo sempre puntato all'indipendenza più assoluta, ad uno stato d'animo in grado di garantirmi più stabilità di quanta ne potessi ricavare da qualsiasi altra persona, ed il nuovo mondo nel quale mi tro...