Diciannove.

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Non è di certo un segreto la mia natura violenta

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Non è di certo un segreto la mia natura violenta. Non ho mai tenuto nascosto a nessuno la mia indole aggressiva e priva di razionalità, che mi porta a commettere stronzate di continuo senza badare mai alle conseguenze.

Ho perso il conto delle volte che i miei amici hanno dovuto ripescarmi dalla strada o tenermi in piedi per impedirmi di cadere in un baratro da cui non mi sarei mai rialzato. Per non parlare della quantità di volte che mi hanno visto con la faccia spaccata.

Perché sono io. Si tratta di me. Di un caso perso che non ha futuro. E non imparerò mai la lezione, piuttosto morirò nei miei stessi errori.

Lo leggo negli occhi di tutti anche in questo preciso istante, mentre una garza mi ricopre il volto sul punto sfregiato. Sono giorni che provano a fare finta di niente per non chiedermi nulla, consapevoli che terrò la bocca chiusa, ma dopo il mio incontro con Luchino di stamattina sembrano ancora più infervorati.

Lo stronzo mi ha spaccato l'altro sopracciglio e lasciato un occhio nero dopo quello che avevo fatto a Nikolai. Beh, mi aspettavo di peggio in realtà, ma il ricordino di Da Silva deve avergli fatto pietà.

«Si può sapere per quale motivo devi farti sempre pestare?», borbotta Nicole, stufa di aggirare il discorso.

La squadro. Siamo come al solito ai gradoni dell'anfiteatro, e lei se ne sta in piedi davanti a me che invece ho preferito sedermi. Credo di avere anche qualche ematoma sulla schiena perché mi fa un fottuto male cane.

«E si può sapere per quale motivo ti devi sempre fare i cazzi miei?».

«Perché mi preoccupo per te, razza di idiota. Anzi, ci preoccupiamo per te», indica Chris e Doug, entrambi al mio fianco. «Non hai la visita dell'assistente sociale in questi giorni? Cosa penserà nel vederti conciato così?».

Inspiro di scatto fra i denti stretti. Ha ragione. L'appuntamento è previsto tra quattro giorni, e non ho la minima idea di come farò a convincerli che vada tutto bene.

Non vivo in una casa a norma con le necessità di Tommy, non ho idea di dove sia mia madre e le mie condizioni fisiche fanno schifo. Ho una paura matta, tremo al solo pensiero di quello che potrebbe succedere, ma per adesso voglio fingere che il domani non esista.

E non c'è alcun bisogno che loro sappiano del terrore con cui convivo da Halloween, da quando mi è stato comunicato della visita.

«Può pensare quello che gli pare, non me ne frega niente», sbuffo, e sorvolo sui sospiri compassionevoli che ricevo in risposta. «Tanto Tommaso non va da nessuna parte».

Ignoro alla grande gli sguardi preoccupati che si lanciano, non posso permettermi di farmi travolgere dalle loro emozioni, altrimenti sarebbe la fine. E allora mi concentro su altro, perché se non lo facessi temo che sprofonderei nella palude delle miei perfidi incubi.

Tuttavia, nell'esatto attimo in cui tiro fuori la mia bottiglietta d'acqua piena di codeina per berne un sorso, l'arrivo di un'auto mi distrae dall'intento.

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