Quattro.

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Ho fumato la mia prima sigaretta a dieci anni, proprio al ballatoio a cinque metri dietro la mia porta

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Ho fumato la mia prima sigaretta a dieci anni, proprio al ballatoio a cinque metri dietro la mia porta.

Io e Chris ce la facevamo con i ragazzini più grandi, quelli che già uscivano per Casetta Mattei e ritornavano con i pacchetti di Winston Blue tra le mutande, dopo aver rubato la tessera ai genitori. E così, siamo cresciuti insieme a loro.

Non che a mia madre facesse alcuna differenza quello che combinavo, comunque. Non fa alcuna differenza neppure adesso.

Ho scoperto gli spinelli a dodici, quando è arrivato Doug con suo fratello maggiore dal Marocco insieme al miglior hashish in circolazione. Da lì è stato tutto in discesa.

Ho iniziato e non ho mai smesso. Ho iniziato e non mi sono mai fermato. Ho iniziato a cadere e ancora devo schiantarmi sul fondale.

Non temo l'impatto, so che succederà prima o poi. Sono una supernova destinata al collasso. Un tossico che dice sì, sì, sto bene, e poi piange di notte per i crampi, disposto a vendersi un braccio per una dose.

Appartengo alla categoria dei disperati fin dalla nascita. Uno di quelli che si aggrappa a qualsiasi cosa pur di rimanere a galla, che se ne fotte delle conseguenze e continua a remare, remare, remare, pure contro corrente.

E questo Luchino lo sa, lo sa bene; lui quelli come me li riconosce a distanza, ci ha fatto l'occhio, e ci tiene stretti, ci culla nel suo grembo deplorevole illudendoci di darci aiuto, quando in realtà è solo la mano che continua a spingerci in fondo.

Ma una volta entrato nella fossa del Diavolo, non puoi più uscirne.

I cunicoli abusivi sono suoi. È lui a decidere chi può occuparli e chi no. E se ti accetta un giorno, non è detto che lo sarai anche il domani.

Quindi, finché spaccio per lui, finché gli riempio le tasche con i soldi dei pischelli di Parioli annoiati e i liceali sfigati che vogliono sentirsi importanti, il tetto sulla mia testa ce l'ho.

Il problema è che mi piace più farmela che venderla, la droga, e ultimamente mi tengono sotto controllo. E se il mio appartamento non fosse stato assegnato, avrei potuto sfondare la porta e occuparlo.

Perciò, intanto che misuro la cocaina sul bilancino e tengo fra i denti un cristallo di MDMA, rifletto sul da farsi. Navigo fra i rimasugli dei piani di un pazzo disperato, desideroso solo di sopravvivere.

Nulla di personale, Altea De Santis. È solo che te ne devi andare.

Io peso e Christian raziona le bustine, mentre Douglas distrae Tommaso con dei tiktok del cazzo.

«Quanto lattosio aggiungiamo?», domanda Chris, il labbro inferiore stretto tra i denti per la concentrazione e i capelli scuri legati in un codino.

La sua voce mi giunge all'udito un po' a scoppio ritardato in realtà, e devo sbattere le ciglia un paio di volte prima di connettere il cervello alla bocca.

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