Prologo.

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La mia è una storia del cazzo

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La mia è una storia del cazzo.
Cominciata di merda e finita ancora peggio.

D'altronde, non è che abbia mai coltivato chissà quali speranze. Quelli come me, certe illusioni se le possono pure ficcare su per il culo.

Nasco disadattato, morirò disadattato; e non c'è niente che possa salvarmi. Per quanto possa averci creduto per un solo effimero istante. A causa sua. Tutto a causa sua.

Cazzo se la odio.

Confusi?
Tranquilli.
Ricominciamo pure dall'inizio.

__________

«Succhiami il cazzo», sputo fuori, sbattendo la porta in faccia per l'ennesima volta all'assistente sociale.

Me ne fotto delle sue belle parole, delle promesse inutili fatte al vento e quel pregiudizio saccente incollato sulla sua bocca retrograda da quattro soldi.

Pensa sul serio di potermi irretire con un paio di chiacchiere, o che permetterò loro di portarmi via quel poco che mi è rimasto?

«Nick», cinguetta la vocina di Tommaso, ancora mezzo nascosto dietro al tavolino di metallo. «Ho la partita. Mi accompagni?».

Aggrotto le sopracciglia e osservo il moccioso di sette anni con cui condivido la madre. Ha già indosso la sua divisa rossa e le scarpette da calcio, che gli ho regalato io stesso per il suo compleanno la settimana scorsa. Mi sono costate ben cinque grammi.

Prima che arrivasse lo sfratto.
Prima che fossi costretto a occupare un buco al quarto piano del primo lotto. Trenta metri quadrati per due persone, tre quando quella stronza si ricorda di avere dei figli.

Ma, comunque, col cazzo che me ne vado. Questa è casa mia.

«Sì, va bene», sbuffo e mi chino, solo per allacciarmi le stringhe degli anfibi. «Quanto hai detto che si vince a 'sto torneo?».

«Non l'ho detto», espone tranquillo, mentre torno in posizione eretta e recupero dalla tasca posteriore dei jeans il mio pacchetto di sigarette. «Non si vince nulla, giochiamo solo».

Se possibile, la mia espressione si fa ancora più cupa. «E allora che cazzo partecipi a fare?», borbotto, aprendo la porta e assicurandomi che l'assistente sociale si sia tolto dalle palle.

Sono settimane che mi dà il tormento, che insiste sul voler parlare con Tommaso e con la troia che ci ha messo al mondo e altre stronzate simili. Certo, come no.

Via libera.

«Partecipo perché mi piace giocare!», afferma lui con entusiasmo, rivolgendomi uno dei suoi sorrisi sdentati. «E poi Don Claudio dice che sono bravissimo».

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