Nove.

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A volte mi odio

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A volte mi odio.
Mi odio fino a non sentire più nulla.
Per la mia debolezza, per la rassegnazione di cui sono intrisa fino al midollo. Perché non riesco a essere come tutti gli altri, non riesco a sfondare i muri delle barriere che mi impongo io stessa.

Stupida, stupida Altea.

So che non è colpa mia, ma è così frustrante essere me. Così maledettamente umiliante ritrovarmi costretta in situazioni talmente banali che basterebbe un misero sforzo per superarle. Ma non ce la faccio.

Sì, mi odio tantissimo.

E continuo a odiarmi quando apro gli occhi e mi rendo conto che non sono nella mia stanza. Che sono svenuta mentre pensavo a inveire contro Nicholas, sparito chissà dove. 

Cazzo, ho perso i sensi davanti a quello schizzato.

Ingoio uno sbuffo isterico, insieme a tutte le lacrime di frustrazione che vorrei versare, e stringo le lenzuola soffici in due pugni, mentre osservo l'ambiente circostante a palpebre assottigliate.

Rosa, è tutto fastidiosamente rosa. Di ogni tonalità. Le pareti, l'armadio a muro, la scrivania all'angolo e anche il tappeto davanti al letto. Sembra quasi che Barbie si sia divertita a fare da Interior Designer.

Emetto un mugolio e, con un cerchio della morte in testa, mi isso a sedere, portandomi una mano alla tempia. È come se un cecchino si fosse impegnato a crivellarmi di colpi il cervello.

Mugolando, lancio un'occhiata di sfuggita al comodino di fianco. Rosa pallido anch'esso, non che mi aspettassi qualcosa di diverso. Vi è una cornice bianca che racchiude la foto di una ragazza che mi sembra di aver già visto.

Ma prima che possa sporgermi per curiosare meglio, la porta si spalanca e fa il suo ingresso proprio lei, la tipa dell'immagine.

Il mio primo pensiero è che è bellissima. Un concentrato di pelle color cappuccino, cascate di capelli lunghi e ricci e uno stacco di coscia che farebbe restare a bocca asciutta perfino gli angeli di Victoria's Secret.

Il secondo pensiero è che l'ho già vista insieme a Nicholas.

«Ehi!», esclama lei, sorridendo. Mette in mostra un sorriso solare, con quell'incisivo un po' storto ma che le dona da matti, e si avvicina di fretta. «Ti sei svegliata! Iniziavo a preoccuparmi. Come stai?».

Mi acciglio, ancora pervasa da una nube di confusione. «Dove sono?», biascico. Solo dopo aver parlato, mi accorgo di quanto la mia gola sia secca e inaridita.

La ragazza si lascia ricadere sul letto al mio fianco in un tonfo. «Casa mia. Ti ha portata qui Nick».

Per un attimo sono convinta di aver sentito male. Voglio dire, il Nicholas Morra che conosco io mi avrebbe come minimo lasciata sul pavimento a marcire. Forse si sarebbe anche premurato di calpestarmi nel farlo per poi darmi fuoco.

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