Ventuno.

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Sbatto il quaderno di matematica sul banco, imbronciata, e scivolo a sedere, mentre quella stronza della professoressa mi fulmina con lo sguardo

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Sbatto il quaderno di matematica sul banco, imbronciata, e scivolo a sedere, mentre quella stronza della professoressa mi fulmina con lo sguardo.

«C'è qualcosa che non va, De Santis?», mi provoca, fissandomi attraverso le lenti degli occhiali sottili.

La detesto con ogni fibra del mio corpo. E sto giusto per risponderle a tono, farle presente che interrogarmi a sorpresa sul programma dell'anno scorso non è stato affatto corretto, quando Levi mi pizzica sul fianco in un chiaro invito a restarmene buona.

Quindi, con le mani che prudono dalla voglia di lanciarle il temperino in faccia, forzo un sorriso più falso della mia voglia di vivere. «No, va tutto benissimo», sibilo.

Lei sorride soddisfatta, perché a quanto pare l'abuso di potere deve essere davvero un'inestimabile fonte d'orgoglio, e chiama la prossima interrogata: Denise Ceccarelli.

Ovviamente a lei viene chiesto quello che stiamo facendo adesso. Niente logaritmi, niente diedri e angoloidi. Soltanto le fottute funzioni geometriche e qualche semplice equazione goniometrica.

Affondo i denti nell'interno guancia, prendo un respiro profondo e mi impongo di mantenere la calma, sebbene mi senta sul punto di esplodere.

Sono nervosa da ben due giorni, dalla mia discussione con Nicholas, e ho come la percezione di star camminando sul filo del rasoio. Non ho di certo bisogno che la scuola si aggiunga ai miei mille problemi, altrimenti temo che potrei davvero impazzire.

«Lo recupererai», sussurra Levi, provando a rincuorarmi. «Non darle soddisfazioni, Tea».

«Non capisci. Non è il quattro sul registro a innervosirmi, è la sua faccia da schiaffi compiaciuta a farlo».

«Lo so, ma non è che tu possa farci molto».

Potrei andare lì e spaccarle la testa contro l'angolo della cattedra. Oppure potrei metterle dell'arsenico nella borraccia d'acqua.

Sfodero un nuovo sorrisetto tirato. «Già. Penso che prima o poi la denuncerò».

La verità è che la Saroli ce l'ha con me dal secondo anno, ovvero da quando ho osato dirle in faccia che la tirannia ce la siamo lasciati alle spalle tempo fa e che dovrebbe un attimo aggiornarsi.

E va bene che io sono incapace di tenere a freno la lingua, visto che la mia corteccia celebrale funziona a intermittenza, ma questa qui si comporta come se tutto le fosse dovuto e noi studenti fossimo soltanto schiavi disposti a lustrale le scarpe.

Sì, certo.

«Giuro che nel prossimo consiglio di classe faccio un casino», borbotto.

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