Simone, dopo aver consegnato il progetto che da giorni lo tormentava, immaginava di festeggiare, di dormire, di ubriacarsi, di chiudersi in casa con Manuel per un intero weekend. Insomma, ha immaginato letteralmente di tutto, fuorché la febbre a trentanove.
Letteralmente il pomeriggio stesso, dopo aver consegnato il file al suo professore, ha iniziato ad avvertire dei capogiri e dei brividi di freddo che l'hanno portato a misurarsi la temperatura, deducendo così di avere una qualche forma di influenza.
È normale quindi che Manuel sia in ufficio ad attendere un messaggio, un aggiornamento, qualsiasi segno di vita — che non sia un "tutto okay Manu" — da parte del suo ragazzo, che però non arriva.
Alla fine, alquanto spazientito, decide di andare direttamente a casa di Simone, piuttosto che a casa sua, una volta uscito da lavoro, e lo spettacolo pietoso che si trova davanti gli fa stringere il cuore.
Gli apre la porta Simone, naturalmente, e solo allora sembra ricordarsi della sua esistenza. Non può non aggrottare la fronte ed inclinare il capo per osservare meglio quell'espressione corrucciata che però sembra celare altro.
«Simo?» sussurra, varcando la soglia di casa.
Avverte distintamente un calore proveniente dal suo corpo mentre cerca di abbracciarlo, liberandosi di sciarpa e cappotto.
«Ciao, Manu. Ho la febbre.» scrolla le spalle il più piccolo, abbandonandosi ad un brivido di freddo che lui cerca di scacciar via sfregando con vigore le mani sulla sua schiena.
«Ma come la febbre Simò?» borbotta piano, accarezzandogli la guancia destra con la sua.
«Eh... boh. Voglio andare a stendermi. Tu puoi andare se vuoi.» spiega Simone, stanco, sfuggendo da quell'abbraccio.
«Ma che anda', non ti lascio solo. L'hai presa 'na tachipirina?» farfuglia Manuel, seguendolo fino alla camera da letto.
Simone, con le poche forze che sente in corpo, ridacchia. «So badare a me stesso Manu, e sì, l'ho presa e no, la febbre non scende.» spiega, sentendosi male ma anche incredibilmente amato.
«Però grazie.» mormora infatti dopo qualche istante, sorridendo debolmente.
Manuel, di tutta risposta, lo spinge sul letto, sedendosi accanto a lui e liberandosi delle scarpe usando direttamente i piedi.
«Famme spazio.» biascica, affondando la testa tra i suoi capelli e abbracciandolo stretto, tirandolo a sé, sotto la coperta.
Gli bacia la nuca, vede la pelle d'oca, prende una mano nella sua, «ancora freddo?» chiede.Simone sorride, «no, sei tu.» ammette.
«Dormi, dai. Sto qua.»
«E se mi sento male?»
«E se ti senti male ci penso io.»Soltanto così il più piccolo riesce a riposare ma quella pace dura soltanto poche ore perché verso sera si risveglia incredibilmente accaldato e tremante, a causa del freddo, con la febbre chiaramente più alta.
Manuel è alquanto preoccupato, decisamente non abituato a badare a qualcuno che non sia sé stesso.
Gli poggia le labbra sulla fronte non appena lo sente mugolare qualche verso di dolore.
«Simone... amore.» mormora, cercando di coprirlo meglio con le coperte.
«Ma...» è l'unica cosa che Simone riesce a farfugliare.
I successivi minuti Manuel li trascorre ad ispezionare il congelatore di Simone alla ricerca di ghiaccio e quasi ogni mobile della sua cucina alla ricerca di termometro e tachipirine.