Capitolo 4.

345 109 263
                                    

"Sempre e dovunque anche il brutto ha i suoi aspetti affascinanti; è eccitante scoprirli là dove nessuno prima li ha notati."

-Henri de Toulouse-Lautrec

Non riusciva a staccare gli occhi dal disegno

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Non riusciva a staccare gli occhi dal disegno.

Diana era seduta sulla sedia vicino alla finestra del suo appartamento, si guardava impressa su linee nere. Non smetteva di immergersi nelle ombre, nelle curve della pelle e nella tristezza intrisa nel volto. Un pezzo della sua anima era rimasto lì, ad abbellire una vecchia scrivania in una caotica stanza.

Le luci della città e dei lampioni iniziavano a essere più intense, il crepuscolo dava spazio alla notte. Le stelle diventavano sbiaditi puntini luminosi in una fredda e buia serata di ottobre.

Il fumo della sigaretta, stretta tra due dita dalle unghie laccate di nero, formava nuvolette grigie intorno ai capelli scarlatti di Diana. La sua mente era in un altro mondo, in un altro universo da ore. Era silenziosa e le parole di Elia ronzavano come mosche all'interno di un cervello in putrefazione. Si annidavano tra le pieghe, lasciavano il loro seme marcio pieno di vermi e liquidi giallognoli.

Le palpebre sbattevano con lenta agonia, il dolore provato nel suo cuore era insopportabile, ma allo stesso tempo cercava di capire come mani fatte di gelo avessero rappresentato l'orrore dentro la sua anima. Aveva visto in lei la morte ed era pronta ad accogliere le sue braccia scheletriche.

Si sentiva soffocare dalla vita, quel serpente lo percepiva ancora strisciare sul suo corpo, negli organi e annidarsi nei polmoni. Li attorcigliava fino a renderli vittime della sua presa mortale. Si toccò il petto per sentire i battiti accelerati, ma non cedeva alla paura perché se lo avesse fatto sarebbe diventata come sua madre: rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Sperava di potersi svegliare un giorno, sentire al telegiornale l'approvazione della legge che dava la possibilità a tutti i pazienti di tornare nelle proprie case e non dover vivere in un inferno a cielo aperto.

«Didì, che fai ancora seduta lì? Vieni a mangiare, ti ho preparato una specialità. Me la faceva spesso mia nonna quando ero piccola». Zofie si era inginocchiata vicino alla sua amica, ancora assorta nei suoi pensieri. Il disegno la tormentava, lo vedeva dal suo sguardo e avrebbe ucciso per sapere quali parole le avesse detto per ridurla in uno stato catatonico. La vedeva tirare la sigaretta in modo ossessivo, come se cercasse di assopire le urla nella sua testa ingerendo tabacco e catrame. Vedeva un leggero tremore alle mani, si stava uccidendo da sola e non poteva restare a guardare.

Prese l'unica decisione possibile. Si alzò e andò verso il foglio per prenderlo e nasconderlo sotto un cuscino.
«Zofie, che stai facendo?» domandò Diana alzando il tono della voce. Scattò dalla sedia per mettersi in piedi davanti a lei.

«Finalmente ho la tua attenzione, pensavo di essere diventata meno importante di un foglio di carta» rispose tagliente, con un sorrisino soddisfatto tra le labbra.

Rondini solitarie.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora