Capitolo 6.

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"Prendi l'aspetto del fiore innocente, ma sii il serpente sotto di esso".

-William Shakespeare, Macbeth

Diana si risvegliò dal suo incubo

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Diana si risvegliò dal suo incubo.

Spalancò gli occhi e si mise seduta sul letto come se avesse trattenuto il fiato sotto litri d'acqua. L'oscurità si era dissipata e la luce della mattina filtrava dalle finestre, le pupille si rimpicciolirono di colpo, combattevano contro un bagliore troppo forte, si nascondevano dal sole. I polmoni richiedevano aria di continuo, le faceva male il petto per il dolore provato tra le costole e il cuore. Aveva i muscoli irrigiditi e la paura si era fatta strada tra i brividi di freddo. I vestiti della sera prima li aveva ancora addosso. Si tolse la coperta da sopra il corpo e vide il sangue raggrumato sulla gonna a scacchi, le calze strappate e le gambe ferite da piccoli tagli. Le braccia invece erano coperte da bende spesse, fermavano fiumi di liquido vermiglio e cicatrizzavano ferite troppo profonde per essere curate col tempo.

Diana pianse per l'orrore, per i ricordi che le martellavano la testa. Sentiva la musica rimbombarle nel cervello e le spinte di quel ragazzo distruggerle la poca dignità rimasta.

«Non è successo davvero, non è successo davvero» disse singhiozzando, mentre le mani sporche di sangue tremavano come foglie.

Aveva sperato fosse solo un brutto sogno, ma a quanto pare l'acido non l'aveva salvata dai demoni. Li aveva resi reali, affamati della sua anima e si erano divertiti a banchettare con la sua carne morbida.

Le palpebre sembravano macigni, i muscoli erano senza forze e ogni minimo movimento era una sofferenza. Voleva andare in bagno, vomitare liquidi neri di acido e morte, ma la gravità la teneva ancorata a letto. Tenersi in piedi era diventato un dolore indescrivibile, era stanca e la bambina dentro di lei non sarebbe mai più tornata. Era già morta da tempo, rimasta sotto strati di terra umida. Dopo l'abbandono di sua madre e averla lasciata in balia della vita senza poterla salutare, si era ritrovata a dover combattere un mostro assetato di odio. Gli occhi spenti e privi di emozione, le parole fredde, combattive dell'unica donna ad averle insegnato a uccidere le bruciavano la memoria di un tempo passato, di un padre mai conosciuto e di un affetto mancato.

Non voleva perdere la testa come aveva fatto sua madre, non sapeva con precisione cosa fosse successo, ma il giorno in cui la portarono via fu il più doloroso di tutta la sua esistenza. La colpa era soltanto del suo patrigno.

«Diana!», una voce rotta dal pianto esclamò all'improvviso non appena aprì la porta d'ingresso. Vide cascate di capelli rossi muoversi su candide coperte simili a fiumi di sangue. «Ti sei svegliata finalmente», Zofie le corse incontro abbracciandola di slancio, dimenticandosi del dolore delle ferite. «Pensavo di averti persa», sussurrò, mentre gocce salate le solcavano il viso tondo e liscio. Le labbra si inumidirono e tremarono di tanta tristezza. Annusò l'odore intenso di Diana, era viva e le bastava solo questo. Non sarebbe mai riuscita a esistere senza la sua presenza.

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