Capitolo 16.

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"Il mio dolore è amaro, ma la mia tristezza profonda,
E vi sono sepolto come un uomo nella tomba".

- "Memorie di un pazzo" di Gustave Flaubert

⚠️ Attenzione, scene esplicite. ⚠️

Diana si svegliò di soprassalto

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Diana si svegliò di soprassalto. Gli incubi l'avevano tormentata tutta la notte.

Aveva la fronte imperlata di sudore, il respiro affannato e l'odore di Zofie intriso nelle lenzuola.

Si girò di scatto per vedere l'orario, era mattina presto e doveva sbrigarsi per arrivare in tempo all'università. Aveva la giornata piena e non poteva saltare altre lezioni o si sarebbe ritrovata con una montagna di libri in più da studiare.

Si mise seduta sul letto sfregandosi gli occhi gonfi con la punta dei polpastrelli, non voleva rivivere l'orrore immaginato nel suo cervello. Non sapeva più se il mondo fosse solo una finzione o un'allucinazione da LSD. Ricordava poco della sera precedente, ma lo sguardo austero di Elia era marchiato a fuoco nelle pupille. La guardava con un sorrisetto malizioso e il mento appoggiato sulle nocche della mano. Gli occhi chiari e il viso più candido della neve le ghiacciavano il sangue.

A un tratto, sentì un mugugno dietro di lei e una mano sfiorarle la coscia. Quel tocco lo avrebbe riconosciuto in mezzo a tante altre dita, Zofie era lì accanto. Dormiva ancora e non si sarebbe svegliata prima di un'altra ora.

Vederla addormentata, fragile e vulnerabile le riempiva il cuore di malinconia. Le stava causando troppa sofferenza, si sentiva inutile. Non riusciva a essere una persona migliore, ci provava con tutta se stessa, ma non era in grado di proteggerla da tanta oscurità. Aveva paura di vederla cadere nelle trappole mentali di Elia. Non se lo sarebbe mai perdonato.

Diana aveva l'impressione di vivere in un ciclo senza fine. I giorni e le ore si ripetevano sempre allo stesso modo. Non trovava una via d'uscita, non chiedeva mai aiuto, quando ci provava le parole le morivano in gola. Restava bloccata nello stesso posto, come se tutto intorno a lei andasse a una velocità troppo elevata e non aveva abbastanza coraggio per impedire lo scorrere repentino del tempo.

Guardò Zofie un'ultima volta, accarezzando con dolcezza le morbide natiche senza svegliarla. La pelle era così tenera da volerla quasi prendere a morsi. Si diresse con passo felpato verso il bagno per rinfrescarsi il viso e lavarsi le ferite. Aveva afferrato senza pensarci qualche vestito ancora pulito dalla sedia della scrivania e dopo essersi preparata, se ne andò via di corsa da quelle mura piene di muffa.

Prima di uscire, le aveva scritto un bigliettino in cui la rassicurava di stare bene e di essere andata a lezione. Lo aveva poggiato sul tavolo della cucina e senza fare troppo rumore la lasciò in balia del suo dolce sonno e del tepore delle coperte.

La strada era ancora silenziosa, le auto parcheggiate avevano un filo di brina sugli specchietti e sui parabrezza. Le case avevano ancora le tapparelle abbassate e i marciapiedi erano deserti. Si sentivano solo i passi delle scarpe da ginnastica di Diana e il fiato accelerato. Dalle labbra uscivano piccole nuvolette di condensa, si stringeva nel cappotto e nella sciarpa pesante per non far entrare il freddo nelle ossa.

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