Capitolo 9.

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"Scuote l'anima mia Eros
come vento sul monte
che irrompe entro le querce
e scioglie le membra e le agita,
dolce, amaro, indomabile serpente."

-"Tramontata è la luna" di Saffo

Diana era tornata a casa col cuore in gola

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Diana era tornata a casa col cuore in gola.

Il fiato corto e i polmoni avidi d'aria non le permettevano di ragionare in modo lucido. La testa girava e si sentiva nella stessa situazione in cui aveva assunto sostanze per cercare di togliersi di dosso qualsiasi demone la divorasse dall'interno.

Era riemersa nel mondo dei vivi, si era persa in un limbo dove nessuno era venuto a cercarla. In quegli istanti, c'erano solo le mani di Elia, il tocco leggero sul suo corpo, i brividi incandescenti sulla pelle e immagini macabre disegnate col carboncino. Aveva la sensazione di essere stata spezzata in piccoli frammenti. Le opere di Elia la rinchiudevano in gabbie fatte di tela. Si prendeva parti di lei senza pudore e la rendeva immortale a ogni schizzo. La sua anima stava morendo con lenta agonia.

Si era ritrovata davanti all'uscio della porta di casa senza nemmeno ricordarsi come ci fosse arrivata. Si era persa nei suoi pensieri, nella meccanicità delle azioni quotidiane. Aveva dimenticato di aver lasciato all'oscuro di tutto Zofie.

Sperava di vederla una volta arrivata, ma quel silenzio in mezzo al corridoio la soffocava, l'annegava ancora di più nel rimorso.

Si guardò attorno spaesata, cercava un punto di congiunzione con la realtà, ma oltre a lei, il vuoto la annegava nel silenzio.

«Didì, dove diavolo eri finita?» domandò all'improvviso una voce alle sue spalle. Non aveva sentito la porta dell'appartamento di fronte aprirsi e i passi di Zofie si erano fatti silenziosi, felini, come se avesse paura della figura apparsa all'improvviso in quell'androne di un sudicio palazzo dagli appartamenti in stato quasi di abbandono.

«Zofie, mi dispiace, ho visto che stavi dormendo e non volevo disturbarti» rispose Diana con un filo di voce. Il cuore le martellava nel petto per lo spavento e per averla colta in flagrante. Sapeva di aver sbagliato, lasciarla da sola non era stata un'ottima mossa.

L'amica non fiatò, era rimasta a guardarla per lunghi istanti. Tratteneva a stento le lacrime, aveva un peso sul petto così forte da farla cadere a terra. La mente faceva viaggi strani, si richiudeva in pensieri soffocanti. Erano tarli che non se ne sarebbero mai andati. Si cibavano delle paure, delle ansie più recondite, non voleva ritornare in uno stato catatonico fatto di solitudine, di un dolore al cuore incapace di placarsi.

«Sei stata da Elia, non è vero?» proferì alcuni secondi dopo, con la voce strozzata.

Erano sole in quel corridoio scuro e poco illuminato. La luce a neon tremolava sopra le loro teste e il freddo della sera permeava nelle mura. Non avevano timore di essere viste, delle occhiatacce e delle urla dietro le porte. Esistevano solo loro, in un mondo abbandonato a se stesso.

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