Prologo

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"Haruka" non mi muovo. "Haruka" gioco distrattamente con una ciocca dei miei capelli. Forse sarebbe il caso di tagliarli. "Ha-Haruka." Alla fine è mio zio a stringermi una spalla delicatamente e a farmi voltare cosicché potesse vedere le lacrime rigarmi le guance. "Haruka, dobbiamo partire. Non c'è più nulla per te qua.". Quanto aveva ragione. Avevo 10 anni all'epoca, praticamente uno scricciolo con gli occhiali e le lentiggini. Presi l'unico ricordo, l'ultima ancora per non cadere nella solitudine. Mio zio sorrideva quel giorno ma era un sorriso malsano, di chi sapeva che non sarebbe bastato. Non mi sarebbe mai bastato. Se poi stessi parlando di lui o del suo sorriso all'epoca non lo sapevo ancora. Con Byakko in braccio salutai un'ultima volta quel vialetto che per anni era stato il palcoscenico dei miei giochi con gli amici d'infanzia. Quegli stessi amici che non avevano ben capito del perché dovevo lasciare Roma d'improvviso. I genitori invece avevano passato intere serate, mentre attendevo lo zio, a cucinarmi tutto quello che volevo, a tenermi a casa loro la notte, a portarmi a scuola e dallo psicologo. E mio zio li aveva ringraziati inginocchiandosi fino a toccarsi le ginocchia con la punta del naso. Per loro erano gesti inusuali ma lo lasciarono fare, forse, mi dico ora, per non farlo sentire ancora più in dovere. Salutai la mia città, la stessa che amavo e per le cui strade si era svolta parte della mia vita. Mai avrei immaginato di dovermene andare.

THROUGH TIME // LEE FELIXDove le storie prendono vita. Scoprilo ora