Episodio Uno/2

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Questa volta, complice forse l'evento che gli aveva messo a soqquadro la testa, Simone ripensò a quella noiosa mattina di fine settembre in cui la professoressa di filosofia aveva spiegato la concezione del tempo in Agostino. E sì, s'era trovato maledettamente d'accordo col filosofo: quando ci si annoia, il tempo non passa mai. Quando poi si è in attesa di una condanna a morte, quale gli era sembrata la minaccia della madre, il tempo sembrava proprio immobile, la lancetta si intestardiva a segnare sempre lo stesso numero sul quadrante dell'orologio appeso in camera, con i colori della sua squadra del cuore.

Avevano finito colazione, anche se Pietro aveva perso l'appetito, ma Simone l'aveva esortato a finirla. Si erano lavati con calma e rivestiti, avevano rimesso in ordine la camera, riposto il lettino a cassetto nello scompartimento sotto il letto di Simone, avevano poi giocato un po' alla playstation, anche se con poca voglia. Il ragazzo sapeva che gli sarebbe stata sequestrata, tanto valeva concedersi qualche partita di calcio virtuale col cugino, prima di vedere la console finire sottochiave per l'ennesima volta.

"Non capisco come mai mamma non mi ha ancora chiamato", esordì Pietro, dando finalmente voce ai propri pensieri.

"Strategia del silenzio. Ti fa aumentare il senso di colpa", commentò Simone, senza staccare gli occhi dallo schermo. Stava conducendo un giocatore in possesso di palla verso la porta della squadra controllata da Pietro, ma non sentiva per nulla l'adrenalina che in genere provava quando giocavano insieme. "Mia madre ne è una campionessa".

"Dici che... appena torna... te le dà?", chiese ancora Pietro, la voce leggermente tremula.

"Non si sfugge mai a questo, lo sai", gli rispose. Voleva tranquillizzarlo, ma non poteva certo mentirgli. "Vabbè, capirai. Mi darà al solito una buona dose di spazzolate e via". Per un attimo, spostò lo sguardo dallo schermo a suo cugino. Stavano tutti e due seduti, vicini ma non troppo, sul letto. Lo vide preoccupato, tenere a fatica lo sguardo fisso sullo schermo. Non si stava per nulla impegnando nel gioco. "Sta' tranquillo, lo sai com'è, finisce sempre che le prendo, per un motivo o per un altro". Simone si chiese se suo cugino fosse preoccupato all'idea di dover assistere alla sua punizione annunciata... E in effetti, anche lui serbava simile preoccupazione. Non voleva dargli quello spettacolo, soprattutto. L'idea invece di essere in imbarazzo non lo sfiorava nemmeno. Era abituato a prenderle da sua madre, be', da molti anni ormai, e benché fosse un adolescente che finalmente aveva cominciato a crescere, quando si trattava di finire a chiappe nude steso sulle gambe di sua madre, provava tante cose, sì, ma imbarazzo e pudicizia, no, quello no.

"Tua madre verrà a prenderti appena possibile, ti farà una ramanzina, ma poi finirà lì. Stasera me la vedrò con mia madre... tranquillo, ti darò notizia e ti confermerò che anche questa volta il mio culo sarà sopravvissuto alla spazzola di mamma", cercò di ridere, ma gli uscì solo una specie di ghigno. "Ti sei mangiato un altro goal!"

"Scusa..." Simone lo guardò di nuovo, era proprio giù. Gli faceva male vederlo così. Simone era sempre stato... empatico, sua nonna gli diceva sempre questa parola. Vedeva il velo di preoccupazione e ansia sul viso di Pietro e sentiva su di sé tutto il suo dolore.

"Ho capito...", saltò giù dal letto. Mise in pausa la console e ripose il controller.

"Be'?"

"Non mi va più di giocare", rispose. "Parliamo di ieri, dai. Raccontami di nuovo com'è andata". Tornò a sedersi sul letto, mettendosi molto più vicino a suo cugino, questa volta, così da poter ricercare il contatto fisico con lui.

"Ma te l'ho già detto".

"Sì ma voglio sentirlo di nuovo. Lo sai, la seconda volta è anche meglio della prima". Pietro gli sorrise, finalmente, e iniziò a raccontare.

Ti concio per le feste (SV#4)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora