Episodio Due/4

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Non aveva studiato. Ci aveva provato. Forse suo padre avrebbe detto che aveva fatto finta... ma alla fine, non c'era riuscito. Davvero, aveva tirato fuori il libro di chimica, aveva fissato le pagine, ma non faceva altro che pensare: tanto non la capisco, è inutile, tanto non m'interessa, tanto il compito non lo faccio, a qualunque costo non ci vado, che la studio a fare... passò allora all'inglese, ma il brano che era stato lasciato gli venne a noia ben presto. Aveva preso poi il cellulare, e trovato un messaggio esplorativo di Giorgia. Ok, forse non era andata male. Gli aveva chiesto notizie, abbondando con emoji preoccupate. Decise allora di mettere da parte l'aria da bad boy, dato il pessimo finale, e tentare di sfruttare il suo istinto da crocerossina, lagnandosi della punizione e dicendole che suo padre l'aveva preso a schiaffi, esagerando pure un po'.

"Gabri, è pronto", urlò suo padre dall'altro lato dell'appartamento. Si allungò indietro, sulla poltroncina di suo padre. Era già ora di cena... non aveva concluso nulla. In tutti i sensi, a cominciare da Giorgia. E domani... ah, doveva farsi di coraggio.

Andò a cena. Suo padre aveva apparecchiato alla penisola, in cucina. Due tavolette all'americana e poco altro. Quando c'era anche sua sorella, allora apparecchiava nel salotto. Comunque non gli dispiaceva mangiare a quel modo, uno accanto all'altro... in genere. Ma quella sera... con tutto quello che era successo... dopo la scenata di prima, suo padre e la cintura... l'aveva odiato, poi aveva avuto paura, poi, a vederlo piangere, gli si era spezzato qualcosa dentro. Voleva continuare a odiarlo, voleva giocare a fare l'offeso, tanto suo padre avrebbe dato il mondo per lui, era in suo potere, avrebbe potuto sfruttare la cosa, ma...

"Gabri? Che fai lì impalato?" Si scosse, era rimasto imbambolato, come aveva detto suo padre, travolto da tutti quei pensieri. "Dai, la carne è pronta", disse distrattamente, senza guardarlo, mentre impiattava una bistecca fumante. Si avvicinò, suo padre andava e veniva dal bancone, dai fornelli, dal frigo... ora portava una insalatiera. Detestava l'insalata.

"Senti pa', ti devo dire una cosa", disse, di botto, senza rifletterci troppo, finendo di masticare un boccone di carne. L'insalata stava lì sul piatto, in disparte. Lo fissava.

"Dimmi".

"Domani non posso andare a scuola, è meglio se resto a casa".

Suo padre finì di masticare, poi prese un sorso d'acqua, rimise giù il bicchiere, si pulì col tovagliolo... il tutto, con estrema lentezza.

"Ascoltami bene, Gabriele. Quando si tratta di queste cose, tu me lo devi chiedere, invece di comunicarmelo".

"Ma io..."

"Hai capito?", alzò la voce.

Sospirò. "Ma che cambia? Ti dico che domani non posso andare a scuola e... AHIA!" Gli aveva dato uno schiaffetto sulla nuca. "Eddai pa'!"

"Riprova. Formula la domanda".

"Eccheppalle che sei. Va bene, va bene, che cazzo oh... posso restare a casa domani?"

"No".

"Vabbè, mi prendi per il culo adesso?!"

"Hai domandato, ti ho risposto".

"Ma ascoltami almeno!"

"Ti sto ascoltando, e non mi pare che stiamo andando da alcuna parte. Mangia la carne che si fredda. E l'insalata. L'ho visto che non l'hai toccata".

"Lascia stare la carne ora, oh!", sbottò, infastidito. Ma perché gli doveva rendere le cose così difficili, adesso? Che cavolo gli era successo?! Era quel messaggio, il ragazzino che le prende dal paparino per un'insufficienza? Bah. Voleva che anche lui fosse così? Che scattasse appena papino tornava a casa dal lavoro? Che si aspettava? Che al comando andasse in camera a farsi trovare pronto per una sculacciata, nemmeno fosse un bambino?

Ti concio per le feste (SV#4)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora