"Oliver, su, vieni qui", lo incalzò la mamma. Era vestita comoda, jeans e un maglione largo e morbido, all'aspetto, come ogni volta che non doveva lavorare, ma magari usciva per sbrigare commissione, fare spese e, come quella mattina, accompagnarlo a scuola. "Non ti sei ancora tolto le scarpe". Ah, era vero. In genere era la prima cosa che faceva tornato a casa, ma per com'era stato accolto dalla mamma, se n'era subito dimenticato. Si fermò, lì in mezzo alla sala, si chinò a terra e cominciò a slacciarsi le scarpe. "Non intendevo... vabbè, dai, toglitele e vieni qui".
Muovendosi a passo felpato, coi calzini addosso, raggiunse in silenzio sua madre, che non s'era mossa da quella posa statuaria, sul divano. Era seduta al centro, la schiena aderente allo schienale. Il cucchiaio stava steso in orizzontale sulle sue gambe, in bella vista. Non riusciva a smettere di guardarlo.
"Olli, lo sai che ci sono modi e modi di divertirsi", iniziò la ramanzina. "E io lo so che sei un bravo bambino, solo che il tuo difetto è che, essendo troppo buono, poi ti lasci trascinare". Avrebbe voluto dirle, una volta per davvero, che no, non si lasciava trascinare. O almeno, non da tutti. Sì, era vero, che Luca esercitava su di lui una certa capacità attrattiva... ma Luca era un'altra cosa. E prima o poi, avrebbe avuto la chiarezza necessaria a rendersene pienamente conto. Quel lunedì, però, era ancora un ragazzino di appena dodici anni, poco più di un bambino, alla presenza di sua madre, pronto a essere punito.
"Lo sai che non mi piace doverlo fare ogni volta, ma sappiamo bene tutti e due che poi funziona sempre, dico bene?". Annuì, benché con poca convinzione. Be', certo che funzionava. La sensazione bruciante persisteva per tutto il giorno, a volte anche l'indomani, per forza poi faceva di tutto per accontentare sua madre.
"Ricordati che se anche ti dà le sculacciate che poi ti fanno piangere, la mamma ti ama immensamente. Ed è proprio per questo che deve farlo". Glielo diceva sempre. Era uno strano modo di ragione, quello degli adulti... però era vero. Non avrebbe mai messo in dubbio l'amore dei suoi genitori, né le buone intenzioni.
"Forza, ora cominciamo", sentenziò. Oliver prese un respiro profondo, mentre sua madre si sporgeva leggermente in avanti, raggiungeva i suoi jeans e provvedeva a sbottonarli, poi fece scorrere la zip e quindi, con delicatezza, afferrò il bordo dei pantaloni e iniziò a spingerli piano verso il basso. Oliver stava lì, fermo e paziente, mentre sua madre lo preparava per la sculacciata, come sempre. Era un gesto che gli procurava una specie di strano ma piacevole solletico.
Ultimamente vi aveva pensato spesso. Forse erano i giochi con Luca, aumentati sia di frequenza che di intensità, ad aver prodotto quel processo metacognitivo. La sua esperienza nelle sculacciate. Cos'era quel brivido, quel solletichino? Forse era la tensione dell'imminente punizione. Quando sai che stai per prenderle... e il sedere pizzica di anticipazione. L'immobilità di quei momenti... l'attesa.
Forse, era qualcosa di completamente diverso. Era un gesto di cura materna, per quanto associato a un atto spiacevole. Un momento di intimità, che attivava tutta una catena associativa di ricordi. Gli ricordava quando era più piccolino e la mamma lo lavava nella vasca, poi lo tirava fuori e lo asciugava con calma e pazienza. O quando lo vestiva la mattina, gli abbassava il pigiamino, le mutandine, gli faceva indossare quelle pulite e poi i vestiti per la scuola, i jeans, il grembiule... quei gesti, sempre più lontani, finivano con l'essere rievocati, ma a un livello non del tutto conscio.
"Alza", gli disse suo madre, sbloccandolo dalla sua trance meditativa. E anche quel gesto, quell'espressione, quel comando addolcito dalla voce calda della mamma, l'aveva precipitato in un déjà-vu. Quante volte, gli aveva detto 'alza', con quella stessa inflessione, quello stesso tono nella voce? Ogni volta che lo spogliava, lo rivestiva, da piccino, gli diceva, sempre allo stesso modo, 'alza', alza il piede, per sfilargli i pantaloni del pigiama, la tuta, i jeans. E così di nuovo, quel gesto si ripeteva.
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Ti concio per le feste (SV#4)
Short StorySe è vero che a carnevale ogni scherzo vale... allora per piccoli monelli e adolescenti ribelli sarà come una indulgenza plenaria! Peccato che gli unici a godere dello spirito carnevalizio sono i più giovani... i genitori, invece, sono sempre pronti...