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La prima cosa che vide, aprendo gli occhi, fu una macchia di umidità sul soffitto della stanza di Dalilah.

Normalmente, la sua forma gli ricordava vagamente un lampone, ma in quel momento parve nient'altro che una triste porzione di muffa su un triste soffitto di una triste stanza. Il motivo era semplice: era stanco, irritato e in astinenza da caffè.

Si alzaò a sedere, chiuse gli occhi e si grattò il mento, dove un accenno di barba mattutina aveva incominciato a prudere fastidiosamente. Non aveva voglia di andare via. Voleva restare lì, rimettersi a dormire, rannicchiarsi fra le lenzuola e scordarsi di quello che doveva fare quel giorno. Per cercare di convincersi, pensò a casa sua, alla doccia, al rasoio e al caffè che si sarebbe potuto concedere se si fossi alzato subito.

Funzionò.

Aprì gli occhi, si mise faticosamente in piedi e azzardòun'occhiata a Dalilah... sentì il petto che si serrava, come di consueto: stava ancora dormendo, rannicchiata su un fianco, i capelli sparsi sul cuscino, le mani chiuse a pugno vicino al petto.

Era bella e imperturbabile. Naturalmente.

Sospirando, si avvicinò ai suoi vestiti, accasciati tristemente sulla sedia alla scrivania di Dalilah. Era ingombra di libri e quaderni, penne e matite, che rendevano evidente la sua occupazione all'università: Dalilah era una studentessa modello, amata da tutti gli insegnanti e dai compagni, modesta e un po' timida, del tipo che faceva tenerezza. Una brava ragazza.

Peccato che non fosse veramente così.

Come se avesse percepito i suoi pensieri, Dalilah aprì l'occhio azzurro e restò ad osservarlo silenziosamente. Lui cercò di non guardarla (con scarso successo): di ignorare la sua camicia da notte arrotolata all'altezza della vita e le gambe che si muovevano leggermente, stiracchiandosi.

La odiava.

Distratto, inciampò sulle sue scarpe, raddrizzandomi all'ultimo minuto, un attimo prima di cadere; Dalilah rise. La guardò male, e lei, noncurante, si rotolò sul materasso, allungando le braccia sopra la testa e sorridendo imperterrita.

Le voltò le spalle, infilandosi le maledette scarpe. Era ancora più irritato di prima.

"Tristan?" lo chiamò Dalilah.

Lui si girò, controvoglia.

"Si?"

Dalilah era seduta, i capelli arruffati a incorniciarle il viso, l'occhio azzurro che pareva quasi nero all'ombra, l'occhio castano che guardava Tristan con affetto.

Si alzò, lo raggiunse e, cogliendolo di sorpresa, lo abbracciò, le braccia intorno al suo collo, le mani fredde sulla nuca, il petto premuto contro il suo e il suo respiro sul collo.

"Grazie." disse.

Tristan posò le mani sulla sua schiena, ruvidamente. Si sentiva sempre impacciato quando la toccava, ma appena passava il primo istante Tristan sentiva anche che era giusto. Naturale. Inevitabile

La amava.

Un grosso problema, pensò.

Poi Dalilah si sciolse dal suo abbraccio, Tristan sospirò e lasciò la sua stanza, uscendo dalla finestra come un ladro.


Alla fine non riuscì a bere un caffè, perché doveva andare al lavoro ed era in palese ritardo.

L'irritazione passò, ma solo per trasformarsi in cupa rassegnazione quando una signora, alla domanda "a che forma vuole che le tagli la siepe?" , gli aveva risposto "a forma di armadillo". Tristan non era sicuro di sapere cosa fosse un armadillo, ma era abbastanza certo che sarebbe sembrato, nella migliore delle ipotesi, un altro animale.

Alla fine avevano concordato per un più rappresentabile canguro, ma nessuno dei due ne era uscito particolarmente soddisfatto. Tristan non amava particolarmente i canguri.

Alla fine, nel pomeriggio era riuscito ad andare a casa a bersi il fantomatico caffè quotidiano, ma anche da quel piccolo piacere non era riuscito a ricevere soddisfazione. Dopo qualche istante fermo in mezzo alla cucina, aveva sospirato ed era uscito di casa.

Il tempo di arrivare all'università, e si era già maledetto tra sé: i corsi estivi non erano obbligatori, ma Tristan aveva deciso di iscriversi comunque, anche se avrebbe dovuto cercare di guadagnare un po' di più con il tempo libero estivo... non nuotava certo nell'oro. Ma Tristan era davvero interessato a quello che stava studiando, ovvero storia e storia dell'arte; il suo sogno? diventare un insegnante. Ma avrebbe dovuto aspettare ancora parecchio tempo, e lo sopportava a stento.

Tristan entrò nell'edificio, sospirando. La t-shirt gli si era appiccicata alla pelle, e sentiva un rivolo di sudore percorrergli la schiena. Non aveva una macchina, così era costretto a spostarsi a piedi, sotto il sole. Aveva le spalle e le braccia già completamente abbronzate, e l'estate era appena cominciata.

Mentre camminava verso l'aula, avvolto nei propri pensieri come in un caldo sudario, sentì una piccola mano toccargli la spalla.

Trasalì.

"Dalilah."

"Ciao." esclamò lei, accostandosi al suo fianco.

I capelli erano legati in una coda alta, ad eccezione di una spessa ciocca a coprirle l'occhio azzurro. Un'inutile precauzione, in realtà, siccome indossava gli occhiali da sole.

Dalilah aveva l'eterocromia, l'occhio sinistro azzurro intenso e l'occhio destro castano scuro.

Lo odiava. Cercava sempre di coprire uno dei due, prevalentemente l'occhio azzurro, ed in un certo senso faceva parte del personaggio: c'era una Delilah con l'occhio castano, che era dolce e tenera, timida, affettuosa e amica di Tristan, e un'altra con l'occhio azzurro, che Tristan odiava vedersi palesare... senza freni inibitori, realista fino alla crudeltà, menefreghista e bramosa.

Tristan sapeva che la vera Delilah si trovava nel mezzo, ma non era sicuro di averla mai vista, e quando si sentiva particolarmente pessimista, pensava che non esistesse affatto: che la vera Dalilah fosse una delle due Dalilah da un occhio solo, e che l'altra fosse una semplice finzione.

"Come sta il tuo ragazzo?" chiese Tristan, con una sorta di impulso masochista.

"Bene." disse lei, il volto impassibile.

"Bene." le fece eco lui.

Dalilah rimase in silenzio per un istante, poi disse, fermandosi in mezzo al corridoio:

"Ascolta, per quanto riguarda stanotte... "

"Lo so, Dalilah." la interruppe Tristan, fermandosi a sua volta. Non avrebbe voluto guardarla negli occhi, ma lo fece lo stesso. "Non significava niente. Noi siamo amici."

Deglutì, poi si obbligò a dire:

"Solo amici."

"Amici." confermò Dalilah, con un mezzo sorriso.

Poi ricominciò a camminare, lasciandolo solo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 23, 2015 ⏰

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