6. Sapone

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Nathan non aveva mai sofferto il caldo in vita sua come in quella catapecchia: abituato all'aria condizionata, che assicurava una temperatura sempre costante e gradevole, si sentiva soffocare in quella calura.

Non si era reso conto di come quel rifugio, per quanto fatiscente e mal isolato, gli avesse comunque assicurato un certo ristoro. Quando lo abbandonò, varcandone la soglia, gli sembrò di entrare in una delle fornaci della fabbrica di suo padre.

L'aria era così rovente da sembrare quasi densa, perfino liquida. Ciononostante, era secca al punto da bruciare le vie respiratorie.

Boccheggiò, cercando di combattere l'assurda sensazione che i suoi polmoni non fossero in grado di estrarre ossigeno da quell'ambiente.

«Fa sempre... Così caldo?»

Lei lo fissò per un attimo da sotto il cappuccio, quindi ridacchiò. «Ho avuto la tentazione di dirti che oggi è una giornata particolarmente fresca, ma considerata la faccia che hai fatto prima, lasciamo perdere. Quindi mi limiterò a rispondere: sì.»

La casupola si trovava al limitare del centro abitato, a pochi passi dalle barriere antiradiazioni. Queste ultime, a dire il vero, erano alquanto diverse da come il ragazzo se le era figurate: pannelli alti tre o quattro metri e lunghi al massimo cinque, su cui correvano spessi cavi elettrici di vari colori, spesso spezzati e penzolanti qua e là. Anziché costituire una vera e propria muraglia, però, i singoli elementi erano sfalsati tra loro, posti alternati un po' più avanti o un po' più indietro, in modo che uomini e animali potevano attraversare lo sbarramento semplicemente facendo lo slalom. Le lastre stesse poi erano crepate, ammaccate o addirittura bucate in più punti.

Del campo magnetico che avrebbe dovuto contenere le radiazioni probabilmente rimaneva ben poco, considerò il giovane, ringraziando il cielo che l'intensità di queste ultime fosse calata in modo considerevole rispetto agli anni del disastro.

La porta era rivolta verso il centro dell'insediamento, con il risultato che si affacciava direttamente sulla discarica a cielo aperto alla base della città-fungo. A raggiera intorno all'enorme cumulo di rifiuti, trovavano posto le povere baracche dei disperati che tiravano a campare sulla superficie: per molti di loro, l'occupazione principale era rovistare tra gli scarti, scomponendoli nuovamente in materie prime grezze da rivendere ai ricchi che li sovrastavano.

Il governo distribuiva acqua, razioni e disinfettanti, assegnava gli alloggi e verificava il rispetto delle regole: di tutto ciò, si occupavano degli androidi guardiani.

Nessun abitante della città-fungo, infatti, avrebbe mai avuto la malsana idea di scendere fino al livello del terreno di propria volontà.

La programmazione dei robot, comunque, era sommaria: essi si preoccupavano soprattutto di evitare che gli abitanti si impossessassero di oggetti non destinati a loro, che ottenessero più acqua del dovuto o che si sollevassero contro Eurasia2.

Nessuno sembrava intenzionato a limitare la violenza o i traffici illeciti. Tecnologia, organi, ma soprattutto acqua potabile: laggiù, l'essere umano era tornato al baratto.

«Vieni con me.» Allison gli fece strada sul retro della capanna, dove i precedenti inquilini avevano teso un telo di plastica sbrindellato a mò di tenda. Qui raccolse un grosso barattolo, lo scoperchiò, vi infilò dentro due dita attraverso i lembi di una membrana tesa sopra la sommità. Quando le ritirò, erano ricoperte di una sostanza gelatinosa vagamente azzurrina.

«Dammi il braccio.» Ordinò e, nonappena lui ebbe eseguito, gli spalmò quella specie di marmellata sulla pelle. «Il governo ce ne fornisce a casse. Pensa che possa aiutarci a sconfiggere l'epidemia.»
«Aiuta?»
Allison si strinse nelle spalle. «L'igiene ha certamente un ruolo.» Riconobbe. «Ma, da sola, non può bastare.»

BAZZA DI TORDO 2172Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora