I'm sorry Michael

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Lui aspettò di vedere Katrine attraversare quella porta di legno che ogni giorno vedeva entrare molte coppiette innamorate o persone anziane per ripararsi da un temporale estivo.

Gli occhi vigili e stanchi, scrutavano tutti i clienti ingenui e i camerieri che con poca forza portavano le ordinazioni ai tavoli.

I suoi pensieri continuavano a tormentarlo sul fatto che quel pomeriggio non avrebbe rivisto la mora e il suo tentativo di ritornare il libro alla ragazza, senza dover aspettare il giorno seguente, non era risultato vano.

Dopo la visita al suo migliore amico, al cimitero, Katrine si diresse a casa della madre del ragazzo come usava fare da oramai quattro lunghi mesi, periodo in cui la sua vita prese tante pieghe diverse senza che lei potesse controllarne neanche una.

«Katrine.»

La signora, dal viso segnato da profondi segni dovuti all'eccessiva stanchezza, dal tempo e dalla perdita del suo unico figlio, la accolse calorosamente con un sorriso spento ma con gli occhi che brillavano e ogni giorno la mora ringraziava Dio per averle donato una cosa bella nella sua vita fatta di sofferenze.

«Charlotte, come si sente?»

La donna dagli occhi verdi come quelli di colui che le era stato portato via ingiustamente tempo indietro, la fece accomodare nel suo antico divano pieno di ricordi.

«Come se una parte di me fosse morta col mio bambino.»

Gli occhi di entrambe si colmarono di lacrime che non resistettero e si sprigionarono in un vortice di tristezza.

La signora Irwin si affrettò ad abbracciare Katrine che, scossa da singhiozzi incontrollabili, si riparò tra quelle braccia dove si sentiva a casa.

I minuti passarono, le donne non accennavano a calmarsi ma dovettero farlo per lui, Ashton, che non avrebbe mai voluto vederle in quello stato per colpa sua.

«Cara, dobbiamo essere forti, per il nostro ragazzo e per Chloe.» Charlotte prese a coppa il viso, segnato dai solchi lasciati dalle lacrime perse, di Kate che fece un respiro profondo e accennò un breve sorriso.

Il campanello di casa Irwin suonò e la donna, asciugandosi con i dorsi delle mani le guance umide, si alzò per andare ad aprire la porta, dietro la quale si nascondeva la figura di Michael che sapeva avrebbe trovato lì Katrine.

Il ragazzo dai capelli rosso fuoco entrò in quella casa che di familiare aveva tutto. L'odore di pulito delle piastrelle fredde, il tepore proveniente dal camino acceso e il rumore del fuoco che bruciava la legna.
Tutte quelle piccole cose delle quali si beava quando lui ed Ashton si ritrovavano.

Michael raggiunse la mora in salotto, la quale però evitava ancora il suo sguardo e si sentiva in una situazione di imbarazzante disagio, come se quell'amicizia che li teneva uniti ora si stava lentamente sciogliendo simile ad un nodo marinaio fatto in maniera sbagliata.

«Vado a prendere la piccola, Michael tesoro sai dove si trova il cibo.» la donna dai lunghi capelli biondi lasciò soli i due ragazzi, scherzando col rosso che, alla sua battuta piena di nostalgia, fece una leggera risata accompagnata da quella di Katrine.

Lo stato d'animo di Charlotte era come un'ombra dispersa nel buio, invisibile a tutti e sofferente. Non poteva fare niente per tornare come prima e mai avrebbe potuto perché tutto quello che è successo è soltanto il destino crudele che ha voluto giocare con la vita di suo figlio. Ma doveva essere forte, non poteva farsi vedere debole dalla ragazza. Era il suo punto di riferimento, glielo ripeteva sempre quando la andava a trovare, e se crollava, Kate cadeva con lei.

Quando l'ombra di quella che Kate considera una madre sparì oltre le scale, un silenzio calò all'interno di quelle quattro mura.

Michael parlò, per interrompere quella nullità di suoni che era diventata assordante per lui: «Guardami.» ma la ragazza non accennava a muoversi e rimase con gli occhi fissi sul pavimento.

Human [Luke Hemmings] IN PAUSADove le storie prendono vita. Scoprilo ora