Chapter 8: Obsidian

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Quel deficiente mi ha lasciata sola.
Mi sale la rabbia al pensiero, perciò continuo a salire gli scalini cigolanti e bagnati.
Ho aspettato che l'ascensore col quale era salito Ashton ritornasse giù, ma niente da fare.
Se solo non fosse uno sbadato del genere.. come ha fatto a non accorgersi della mia assenza?
Scrollo le spalle e finalmente arrivo in uno spiazzo all'aperto, dopo circa due piani di scale con la muffa anche sul soffitto.
Mi pare un luogo abbastanza tranquillo e sorrido quando noto che sono davvero uscita dal palazzo, con l'aria fresca che mi soffia nei capelli e il respiro del Fato che mi sussurra di ascoltarlo.
Ehi, no, aspetta..
-Obsidian Williams!- strilla una voce nella mia mente.
-Ehi!! Non urlare!- strillo ancora più seccata, localizzando Mr. Lenzuolo a pochi passi da me.
Prima o poi devo chiedergli che tipo di essere è un coso fluttuante e bianco come un lenzuolo... sembra un fantasma risvegliatosi male alla mattina.
-Ho detto che devi superare la tua paura il più presto possibile-
-Perc..- prima che riuscissi a completare la frase, percepii il terreno sotto di me muoversi e alcune crepe formarsi ad alcuni passi da me. -Che diav..-
Un palo dietro di me si stacca dal terreno e mi sposto appena in tempo prima che mi crolli addosso, sento vari brividi sulla mia schiena, ho sempre odiato i terremoti, anche se la forza di questo è mille volte superiore al normale.
La sensazione che provo è identica a quelle provate in precedenza, un forte dolore alla testa che manda flashback della sottoscritta da piccola che si nascondeva sotto il tavolo, al riparo da tutto e da tutti.
Mentre schivo un altro palo, inciampo per terra e cado a testa in giù, la faccia piena di graffi e pietroline. La caviglia fa male, troppo male, e non so davvero che fare se non trascinarmi via da quella enorme crepa che si sta formando proprio sotto di me.
Mi manca Ashton, se lui fosse qui mi avrebbe dato una mano e invece sono rimasta sola, abbandonata.
-Sii coraggiosa- sussurrò una voce familiare al mio orecchio, ma accanto a me non vi è nessuno e non posso fare a meno di pensare di essere impazzita.
Urlo dal dolore, la caviglia fa malissimo e noto del sangue proprio in quel punto; comprendo le vere parole del mostro bianco, la possibilità di ferirsi e... morire.
E io non ho la minima intenzione di morire.
Mi trascino via da quella crepa, la quale mi avrebbe sicuramente risucchiata all'inferno se non mi fossi spostata di qualche metro.
Dopo vari passi mi ritrovo a terra, stremata e senza forze, senza alcuna voglia di alzarmi e gridare ancora dal dolore.
-Sii coraggiosa- ancora quella voce delicata e soave, eppure non riesco a ricordare; è come se i miei ricordi fossero bloccati da qualcosa di più grande e potente di me, come se non riuscissi ad uscire da quel limbo in cui mi trovo e in cui sono stata costretta a rimanere.
-BASTA!- strillo esasperata da quel suono rumoroso che mi sta tartassando le narici, la terra sotto i miei piedi che si diverte e deridermi.
-ORA BASTA!- con un movimento involontario, punto la mano verso una determinata zona e fortunatamente il terreno smette di muoversi, si richiude lentamente e, come se fosse uno scherzo, torna allo stato di prima.
-Wow- esclamo io.
Avevo sempre desiderato di trovare un modo per fermare i terremoti, quelle vibrazioni di sopraffazione che ti spaventano al punto da chiuderti in te stessa e scappare.
Invece devo superare la mia paura, devo essere coraggiosa e continuare ad esserlo.
Provo a richiudere un'altra zona, ma sento le mie mani bollenti e quando poso lo sguardo su di esse posso notare alcune bollicine sulla carne.
Mi sto ustionando.
Impreco sottovoce e cerco nell'aria una risposta, qualcosa che possa salvarmi dalla quella ripida instabilità.
-Non sei sola- mormora ancora quella voce.
-Chi sei?- urlo io stanca e confusa.
Non ottengo alcuna risposta, così presa dalla rabbia urlo più forte che mai, superando di gran lunga il rumore del terremoto e finalmente zittendo quel terreno irremovibile, quel ronzio assordante nelle orecchie e tutti i brividi che ne provoca.
Sento la mia mente affievolirsi, ma sbatto più volte le ciglia per cercare di dirigermi verso la piccola porta appena apparsa in fondo al terrazzo, il quale sta venendo sostituito da pareti scure e finestre malinconiche.
Sbatto la porta con forza e non mi volto indietro, sperando solo che il terreno sia del tutto sistemato; il silenzio che avvolge l'atmosfera delle scale è soave e mi provoca una strana sensazione di sollievo e leggerezza, nonostante il pulsante dolore alla caviglia.
Dopo alcuni secondi, capisco: ho sonno.
Sono ore, o forse giorni, che non chiudo occhio e sono così sfinita che riesco a malapena a reggermi in piedi. Finalmente la rampa di scale termina, ma sussulto quando i miei occhi incrociano due ragazzi di circa la mia età, proprio di fronte alla porta che secondo i calcoli dovrebbe essere una futura prova.
-Chi siete?- chiedo io. Dovrei essere sollevata per aver trovato due persone come me, eppure non mi convincono affatto; il primo ha dei tratti asiatici, gli occhi scuri come i capelli e una sigaretta alle labbra, l'altro invece ha i capelli blu e due occhi gelidi da far congelare il deserto del Sahara.
-Guarda qui che bel bocconcino- esclama quest'ultimo mordendosi le labbra e affilando la lama del coltello nella sua mano.
-Entriamo per fargliela vedere a Luke- propone il moro con un sorriso.
Chi diavolo è Luke?

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