1900
Quando era tornata a casa da Dalton, Julie si era sentita sollevata, come se qualcuno le avesse tolto un peso dal petto. Aveva chiuso le ciglia lunghe sulle iridi verdi, nella carrozza, e la realtà era scivolata via. Il rumoreggiare delle ruote sulla strada le aveva conciliato quell'urgente bisogno di dormire.
Qualcosa di vago, però, era rimasto nella sua mente, al risveglio. Appariva sconnesso da tutto il resto, lanciandola in uno stato di confusione fatto di sudore freddo e ricordi sfumati.
Il cuore. Il cuore.
Ricordava solo quelle due parole messe in fila, come un mantra. E da quel giorno non aveva smesso di pensarci. La sua testa era sconnessa dalle cose che doveva fare nella vita di tutti i giorni. Era proiettata nel passato. Esisteva solo in quella dimensione che era scomparsa anni prima, dove Sarah era una burattinaia bellissima e spietata.
La odiava per questo. O forse l'aveva sempre odiata perché Sarah amava fare del male a tutti, e invece Julie voleva che lo facesse solo a lei, come aveva fatto in quella locanda la sera in cui si erano conosciute.
Erano passati dieci anni ma quell'ossessione non scompariva.
L'acqua che si era preparata per fare un bagno era pronta. La vasca rotonda accogliente, i petali di rosa disposti in modo che le sembrasse di entrare in un nido profumato. Julie amava quei piccoli dettagli, la facevano sentire in un ambiente confortevole. Diventava tutto più bello e poteva fingere di non essere stata trattata come un animale quando era più piccola.
Si calò nella vasca lentamente, assaporando la sensazione dell'acqua tiepida che le avvolgeva la pelle. Chiuse gli occhi, inspirò i vapori caldi e il delicato profumo di rose, il corpo irrigidito dal freddo e dalla tensione.
La sua mente si spostò sulle lame delle forbici poggiate sul lavandino. Le aveva lasciate lì prima di partire, dopo essersi data una spuntata alle unghie, non aveva avuto il tempo di rimetterle a posto ed erano rimaste abbandonate in un gesto distratto.
La verità era che, quando aveva ricevuto l'invito di Tristan, non aveva fatto altro che pensare al passato, una giostra caleidoscopica di immagini l'aveva attraversata senza darle scampo.
Sarah che la guardava, Sarah che quella sera si era trasformata. Il passato sempre più ingombrante.
Iniziò ad accarezzare inconsciamente le linee bianche che disegnavano reti di tessuto cicatriziale sulle sue gambe. Una lacrima le scivolò sulle guance per poi perdersi nell'acqua.
*
L'ondeggiare delle candele, sospese nell'aria fredda, creava cerchi di luce sulle foglie circostanti. Le venature si illuminavano in sottili rigagnoli dorati, granelli di sabbia scura serpeggiavano tra i capelli della ragazza. A occhi chiusi, si lasciava cullare. Anche lei galleggiava. Il suo corpo si muoveva insieme alle candele in una lenta danza di ipnosi. La notte la avvolgeva, un mantello che rendeva tutto ovattato e nascosto.
Nessuno si era accorto della sua assenza.
Nessuno doveva accorgersene, così lei sarebbe volata via.
Tristan si svegliò da quel sonno che gli aveva mandato in frantumi le pareti dell'inconscio. Si alzò; fuori era ancora giorno. Cercò di riportare alla mente l'ultimo ricordo che aveva prima di sprofondare. Era rientrato dal lavoro prima del solito, aveva appuntato delle idee per il suo nuovo romanzo. Aveva bevuto un goccio di ottimo whiskey di fronte al camino, riflettendo sul cliente di quella giornata – un anziano signore dall'abbigliamento distinto che si era presentato con un nome che ora non ricordava. Ma la sua testa era tornata a quella sera.
Forse non era stata una buona idea invitare anche Maryanne, Daniel e Julie all'inaugurazione. Forse avrebbe dovuto andare avanti come aveva fatto fino a quel momento, senza guardare al passato.
Mentre si vestiva per uscire a fare una passeggiata e alleviare il mal di testa, ripensò al viso di Julie quando era arrivata a casa sua. Era stata la prima a presentarsi. Aveva riso e scherzato come se niente, di ciò che era accaduto, fosse successo. Nel suo atteggiamento si leggeva una spensieratezza che addosso a lei sembrava cucita male; Julie non era fatta per essere felice e Tristan lo aveva capito sin da quando l'aveva vista per la prima volta, quando suo padre aveva invitato tutti a cena.
Erano frammenti di un passato che ora appariva inconsistente, ma che era esistito.
Tristan uscì ascoltando il rumore dei suoi passi sull'erba. Il sole era un disco rosso che scompariva oltre il limite della foresta e incendiava i sentieri. La città non era molto distante da dove viveva; eppure, gli sembrò di essere fuori dal mondo. Mosse qualche passo fino al limitare del cancello, tirò fuori le chiavi e lo aprì in un cigolio solitario. Lo richiuse in uno sbattere di ferro e ruggine, mise le chiavi nella tasca dei pantaloni neri.
In lontananza c'era un uomo; stava fermo sul ciglio della strada, laddove il sentiero era più piano e i boschi si diradavano lasciando spazio all'umanità.
Era Daniel.
Man mano che si avvicinava gli sembrò sempre di più che ci fosse qualcosa che non andava. Era come quando aveva letto del necrologio di Sarah e in qualche modo aveva sentito che non sarebbe finita lì. Non dopo ciò che aveva visto.
Ebbe la stessa sensazione mentre muoveva passi cauti verso Daniel e le gambe si facevano elettriche di tensione. E quando fu abbastanza vicino capì perché.
Il volto di Daniel era segnato da un dolore profondo. Uno di quelli che ti gettano in un vortice da cui è impossibile tornare indietro. Lo guardava con un odio negli occhi che sentì bruciare su di sé come un tizzone acceso. Aveva un aspetto trasandato e sapeva di qualcosa che lo fece arretrare. Qualcosa di marcio e putrido.
Era l'odore della paura quello che gli sentiva addosso.
«Daniel», riuscì a pronunciare. «Cosa ci fate qui?»
«È partito tutto da voi» disse Daniel, la voce bassa. «Dal vostro invito. Da quella casa.»
Silenzio. La Sensazione non lasciava il corpo di Tristan. Si ritrovò a tremare, i ricordi che lo attanagliavano.
C'erano tante cose che avrebbe potuto dire, ma non era il momento opportuno. Non poteva farlo adesso. Daniel non sapeva niente, e le cose avrebbero dovuto continuare a restare così.
«Adesso Maryanne è morta» parole che furono una pioggia ghiacciata di lame. Rimase immobile. «E sappiamo perché.»
Tristan restò in silenzio.
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Hollow Fell
Horror"Giocare con la morte è pericoloso ma è anche tremendamente eccitante" York, 1900: Maryanne Lennox, giovane moglie di una promessa della medicina, si trova alla festa di inaugurazione della casa di un vecchio amico. La dimora sorge tra le fronde del...