XXIV.

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1890




La stanza aveva preso a palpitare, faceva il rumore che fa il cuore quando si agita nello sterno e vibra di panico. Tristan fu tentato di mettersi le mani sulle orecchie per non sentire. Le pareti sembravano seguire quel ritmo, tamburi invisibili che qualcuno stava suonando dall'altra parte. Una cappa di fumo nero era scesa sui presenti. E nel mezzo gli occhi di Sarah, scintillanti come due onici, puntati nel vuoto. Non riusciva a capire se si fosse accorta della sua presenza o se stava guardando qualcos'altro.

Signor M.

Era la prima volta che glielo sentiva dire.

Julie ruppe il silenzio con un urlo, gli occhi fuori dalle orbite, la pelle priva del colorito roseo, le mani serrate in due pugni. Non riusciva a parlare, solo a far uscire quel suono prolungato dalla bocca. La afferrò, affondò le unghie nel suo polso fino a farle male – non importava perché lui doveva capire e lei glielo stava impedendo. Era troppo tardi, ora si sarebbero alzati li avrebbero visti e li avrebbero portati di nuovo via – perché ora era certo che avessero fatto un incantesimo, un rito di iniziazione. Tristan si sorprese di essere così lucido in un momento come quello.

Le porte si spalancarono ma nessuno si era alzato per aprirle. Il fumo offuscava la stanza, spirali nere si avvolgevano su sé stesse e c'era un odore strano, pungente, che non riuscì ad associare a nulla che conoscesse.

«Sarah» sussurrò.

Sarah stava guardando in un punto dove non c'era nulla se non fumo denso. Muoveva le labbra, però. Esangue, le braccia abbandonate lungo il corpo esile, gli occhi colmi di devozione ma non stava guardando né il signor Lennox né suo padre.

«Non lasciarmi» la sentì dire. Lacrime di vetro strisciarono sulle sue guance. Tristan si sentì riempire della gelosia più nera che avesse mai sentito; non riusciva a vedere quell'entità inconsistente e desiderò che fosse vera, per poterla togliere di mezzo e prendere il suo posto.

Sarah sembrava non essersi accorta della sua presenza, suo padre e il signor Lennox erano ancora immersi in quello stato meditativo in cui erano prima.

«Tristan. Ti prego, andiamo via» Julie lo tirò per la manica dell'abito. «Ti prego.»

«Che cosa vi succede?» Daniel gli si parò davanti, sul viso la paura dipinta con pennellate decise. Il suo volto era una maschera – Daniel era una cosa.

Una cosa che si frapponeva tra lui e Sarah.

Tristan gli dette uno spintone di cui non si riteneva capace, mandandolo col viso a terra. Il tonfo che si era prodotto non riscosse né suo padre né il signor Lennox, ancora seduti immobili con gli occhi chiusi, i respiri stridenti che abitavano l'aria.

«Padre!» Daniel si avvicinò al signor Lennox, scuotendolo.

«No», il tono di Sarah era disperato, sembrava un uccellino che viene chiuso in gabbia. «Daniel. Vi prego, non fatelo. Interromperete la corrente e niente sarà più lineare. E non lo vedrò mai più.»

Suo padre e Daniel Lennox aprirono gli occhi, cominciarono a sussurrare parole che si mangiava l'oscurità. Una formula detta tra le labbra, pronunciata in una lingua che non capiva. Tristan fece del suo meglio per aguzzare l'udito e comprendere cosa stessero dicendo, ma erano suoni spigolosi, non appartenenti a nessuna lingua che avesse mai studiato. Non era latino, non era greco antico, non era russo. Era una lingua tagliente, gutturale, ogni parola lo avvolgeva, lo attirava, batteva come un cuore distante.

«Non vedrete più chi

Sarah non rispose. Tristan sapeva già quale fosse la risposta.

Il Signor M.

«Daniel!» era disperata, la voce si era trasformata nell'urlo di un animale ferito.

Il signor Lennox aprì gli occhi, il respiro che sibilava fra i denti si interruppe. Il fumo iniziò a contorcersi nella stanza, un serpente furioso che si prepara ad attaccare. L'odore si fece così acuto che Tristan si portò una mano a coprire naso e bocca.

L'aria crepitò, il palpito delle pareti si era fermato. Suo padre continuava a pronunciare la formula in quella lingua antica.

Ora erano comparsi degli occhi gialli, poggiati su un corpo che non poteva esistere. Tristan ebbe la sensazione di vederlo chiaramente anche se non si trattava di qualcuno di fisico, avvertiva la sua presenza come quando ti rendi conto che sta per accadere qualcosa di brutto e non riesci a capire come cambiare il corso degli eventi.

Quegli occhi sarebbero sembrati affascinanti come due pietre preziose se solo non gli avessero scagliato dentro un profondo senso di malessere.

Restò nel silenzio, immobile, Daniel che si stava rialzando a fatica alle sue spalle. Un rivolo di sangue gli usciva dalla narice destra e gli percorreva il labbro. Non se lo asciugò nemmeno, anche lui stava vedendo quella sagoma in mezzo alla stanza.

Sarah si mise a piangere, un pianto di ammirazione, lacrime piene di felicità.

La creatura si diresse verso di lui. Il tempo rallentò, Daniel e Julie sembravano cose offuscate. La stanza vorticò.

«Tornerai indietro» disse.

La sua voce era buia e vibrante, adesso faceva freddo.



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