capitolo 9

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È così bello risvegliarsi nel proprio letto. Quella bella sensazione di libertà che prima non c'era. Sono stata dimessa domenica, dopo quei orrendi giorni ho solo voglia di libertà, prendendomi una giornata con la mia famiglia. Oggi non è un lunedì qualunque, i miei mi hanno organizzato una sorpresa, ed io non potevo essere più eccitata di così. Mentre fantastico con i pensieri dove possono portarmi i miei genitori, mia mamma bussa alla porta.
- Tesoro! Sveglia! Abbiamo un sacco di avventure da compiere stamattina ! - 
Nel sentire la parola " avventura ", di scatto mi alzo dal letto, ammiro il sole splendente che con i sui raggi mi illumina il viso di felicità, e parto, pronta per la mia nuova avventura.

- Sei bellissima tesoro - si complimenta con me mio padre per come mi ero preparata. Ne avevo bisogno di prendermi cura di me stessa, dopo tutte quelle delusioni e tragedie...
- andiamo? - ci chiede mamma, e io annuisco, col sorriso che annega il mio viso.
L'aria fresca che soffia delicata e leggera appena immergo la testa fuori dal finestrino, è la sensazione che più amo. Mi fa sentire libera, proprio come il mare. Quando mi capitava di andare a mare, non ci andavo per tuffarmi, ma ci andavo per liberarmi dai pensieri e far entrare nel mio cuore l'energia positiva, che a scuola non riuscivo ad avere. Il mare, limpido e cristallino, col suo profumo salato che stuzzica le narici, mi fa sentire libera, mi fa credere nei sogni. Per me il mare è vita, come lo è anche il sorgere del sole, che dà segno di un nuovo Inizio. Quando era bambina, mi feci piazzare il letto accanto alla finestra, per poter ammirare ogni giorno il sorgere del sole. Quelle sfumature e quel calore che aumentava via via sul mio viso, mi faceva sentire bene, proprio come galoppare il mio cavallo jeky, che mi ha fatto compagnia per tutta la mia infanzia. Per non parlare del dolore che provai quando dovetti trasferirmi, senza il mio jeky. Con poco io ero felice. Crescendo però, con l'inizio delle medie, non conosco più la parola libertà. Ma ho solo quattordici anni, non posso crearmi una barriera. Allora vorrei concedermi questa giornata per me e per la mia salute, e la vorrei intitolare sul mio diario " libertà ".

Col passar di minuti trascorsi in macchina, mi feci mettere la mia canzone preferita in radio, quella che riusciva a far risalire all'interno di me la consapevolezza che l'estate sta iniziando.
Non appena la canticchio, col capo fuori dal finestrino, riesco a sentire un profumo familiare, e con l'aumentare dei minuti lo riconosco, è il mio mare.
- Mamma, papà! Ma questo è il mare! -
- si amore, e non solo -
- cos'altro mi aspetta? Per me già il mare è una sorpresa enorme! -
- lo scoprirai presto -
I minuti scorrevano, ed io ero sulle spine per cos'altro mi attendeva oltre  al mare, e ad appacare la curiosità, ci pensavano le canzoni, impossibili non cantarle.

I piedi sulla sabbia e il rumore del mare, risvegliarono quella vecchia me. D'improvviso, una voglia irrefrenabile mi pervade, risvegliando quell'unico neurone buono che mi rimase e che mi faceva ragionare. Corro, corro senza mai fermarmi. No, io non avevo paura del mare o dove mi potesse portare, non avevo paura di inciampare con le nuvolette di sabbia che si formavano sotto ai miei passi frenetici, non avevo paura di cadere perché sapevo che la sabbia non mi avrebbe permesso di farmi male, perché il mare è sempre stato il mio amico, quell'amico vero, che sai che non ti tradirà mai.

- Giusy? Ma dov'eri? Ti abbiamo cercato per tutto il tempo! -
- ero in giro... allora? Cos'altro mi aspetta?- chiedo impaziente.
- Vieni con noi - iniziai a camminare, senza mai staccare gli occhi dal mare.
Eravamo quasi arrivati mi dicevano i miei genitori.
- Chiudi gli occhi piccola - mi disse mio padre, ed io ubbidì.
- Tre, due, uno... puoi aprirli adesso! -
Il mio cuore mi galoppava in gola, e delle lacrime pure e di sincera felicità mi scesero dalle guance fino ad arrivare a colpire la sabbia. Lì, proprio davanti ai miei occhi, in carne ed ossa, c'era il mio jeky. Il mio cavallo che mi fece compagnia per tutta la mia infanzia. Solo con lui io piangevo, mi sfogavo e trovavo rifugio, solo e solamente con lui.
Mi avvicinai e gli sussurrai all'orecchio
- Hey, ciao Jeky. Ti ricordi di me? Eravamo due amici con un legame unico. Mi sei mancato tantissimo, e scusami se mi sono allontanata da te, ma dovetti trasferirmi in città... ti voglio bene, adesso che sei qua che ne dici di farci un giro? - gli parlai con voce calma e delicata, con voce tremante per l'emozione, e la guardavo con gli stessi occhi in cui lo guardavo da piccola, lucidi e pieni d'amore.

Dopo anni, salire sul mio cavallo mi diventò quasi nuovo, infatti al primo tentativo avevo rischiato di cadere, ma dal secondo ritornò tutto nella norma, proprio come quando dopo anni non vai in bici. Perché le cose belle non si dimenticano mai, ti entrano nel cuore e nei ricordi senza mai lasciarti, possono esserti "nuove" al primo tentativo, ma dal secondo, terzo, quarto... sono come ritornare bambini.
- Vai Jeky, portami lontano, come solo tu sai fare - gli sussurrai all'orecchio, e subito dopo gli diedi una pacca leggera e timida sul collo, e partì.
L'aria di mare, leggera e fresca, che faceva sventolare i miei capelli, che volavano liberi nel vento, come io correvo libera sul mio cavallo. Una sensazione unica e tenera, che solo chi ama i cavalli e la natura, solo chi ama sentirsi libero e ribelle, riesce a capire.
Dopo circa un'ora di viaggio col mio cavallo, ritornammo dai miei genitori.
- Com'è stare con il tuo Jeky? - chiesero i miei genitori con aria fiera.
- è stato bellissimo, bellissimo come il mare e il tramonto - dissi loro con aria commessa.
Era pomeriggio ormai, e dopo aver mangiato ad un ristorante nei paragi, decidemmo di andarcene, stanchi ma felici. Per tutto il giorno non ho usato per nessuno motivo il telefono, volevo essere libera. Allora decido di usarlo appena sarei salita in macchina.
Dal mio zainetto, in bella vista c'è il mio caro diario e il telefono. Nell'attimo in cui le mie mani affondarono sul diario, una notifica attira la mia attenzione facendomi lasciare il diario per catturare il telefono.
Ci risiamo, è Nicolas...
- Ehy ciao, tutto bene? Come mai non sei venuta a scuola oggi? - sorpresa della sua preoccupazione.
- Ciao, si, sto bene, sono stata dimessa domenica e oggi mi sono presa una giornata di relax, domani tornerò a scuola -
Dopo cinque minuti mi arriva un suo messaggio.
- Sono tutti preoccupati per te, non si parla d'altro, mi fa piacere che domani torni... -
- va bene, allora a domani... -
Delle farfalle sventolavano nel mio stomaco. Ero felice ma sapevo di non doverlo essere per ciò che mi ha procurato in passato, ma io, in fondo lo amo. Questa giornata ho giurato a me stessa di non pensarlo, ma lui ricompare sempre, sempre quando non doveva, ed io ci ricascavo, consapevole che non facevo altro che farmi del male.

Appena arrivai a casa il mio unico pensiero era stato raccontare al mio diario la mia giornata. Mi misi le cuffiette, con una melodia limpida e leggera che faceva da carezza alle mie orecchie, e scrissi tutto. Iniziai a raccontare della sorpresa del mio cavallo Jeky, dell'amore che provavo per il mare, del pranzo al ristorante, del messaggio di Nicolas e dell'amore amaro che stavo nascondo nel mio cuore ferito e indifeso, ricucito troppe volte per essere ancora così forte. Richiusi il diario, mi lasciai andare appoggiando la schiena allo schienale della sedia, tolsi le cuffiette, e un sospiro, stanco e ferito, uscì libero e spontaneo dalle mie labbra. Ricordare che stavo amando una persona sbagliata mi faceva male, e pensare che lui forse non ricambiava il mio amore faceva ancora più male. Un male indecifrabile, un male che faceva paura, tanta paura al mio cuore, incerto se stavolta sarebbe riuscito a reggerlo. Ma poi guardavo il mio diario, pieno quasi allo svenimento delle mie lunghe chiacchiere, e sapevo che lui era sempre lì, sempre e per sempre con me. Lui si fidava di me ed io mi fidavo di lui, eravamo una cosa sola, ed io mi  sento protetta ogni volta che la mia mano sfiora le sue pagine gialline e lisce che assorbevano ogni mio sfogo, senza mai chiedere nulla in cambio.

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