Dita agili

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Notte tra 12 e 13 luglio 1293 – Perugia


Non c'era luce, nemmeno quella della Luna, eppure la lama che minacciava la vita del ragazzino dai capelli vermigli riluceva sinistra, come animata dalla magia. Le dita che stringevano quel coltello erano sottili e allungate, ma piene di calli e con le unghie spezzate. Il bambino conosceva quelle dita: erano quelle che sempre lo avevano accarezzato quando aveva gli incubi, quelle che gli avevano preparato il pranzo, quelle che lo avevano avvolto in un caldo abbraccio. Erano dita così conosciute che non avrebbe potuto confonderle con quelle di nessun altro: erano le dita di sua madre.


Tutto era pronto: doveva solo riuscire ad uscire di sera senza essere visto da Giuliana. Le strade erano pericolose di notte, lo sapeva bene, e sicuramente la donna che lo aveva salvato ormai quattordici anni prima, di certo non sarebbe stata felice di vederlo rischiare la vita per un garzone qualunque con cui non aveva nemmeno mai parlato. Per non parlare di Aru... probabilmente lo avrebbe inchiodato da qualche parte piuttosto che farlo uscire, quella notte.

Per fortuna dormiva nella stanza più vicina alla porta d'ingresso: se fosse stato relegato, come Arunte, in sartoria o nel piano superiore, dove invece aveva passato la sua infanzia, non sarebbe mai riuscito a sgattaiolare fuori. Una volta in strada, si tirò su il mantello e calò il cappuccio fino a coprirgli gli occhi e, passando per i vicoli, si diresse velocemente verso la taverna della vecchia Angela. Normalmente non si sarebbe mai sognato di passare per quelle viuzze, per di più di notte, ma aveva assoluta necessità che nessuno lo vedesse, o il suo piano sarebbe andato in fumo in breve tempo.

Dopo una mezz'ora si trovò nel retro del luogo che aveva come meta: ora doveva solo capire come entrare, e doveva farlo in fretta, o qualcuno lo avrebbe scoperto. Sapeva che il garzone Lucio dormiva sempre nel retrobottega, mentre la padrona nel piano di sopra, perché non voleva essere disturbata durante il sonno. Inoltre lì in paese, più o meno ogni persona pensava che più in alto si dormisse, più si avessero possibilità di sopravvivere in caso l'abitazione fosse stata attaccata, ma mai cosa era più falsa, e Rinaldo lo sapeva bene: l'ultimo piano forse era anche l'ultimo ad essere controllato, ma si trasformava in una trappola mortale se non si era abbastanza forti da gettarsi giù dalla finestra e riuscire ad alzarsi e correre via come il vento. In quel caso, però, che si trattasse di una falsa credenza o meno, a lui non interessava: avrebbe salvato la vita a quel ragazzo proprio per quel fattore fortuito.

Quindi individuò la porta sul retro, tentò di sforzarla: cercò di riportare alla memoria gli insegnamenti di Sveno, il figlio dell'armaiolo che era stato per anni il suo compagno di giochi quando viveva ancora con i suoi genitori; era stato lui, con quei suoi occhi verdi come la foresta, a spiegargli come fare per aprire la dispensa del panettiere e rubare, di tanto in tanto, qualche dolciume. Gli ricordava molto Aru, quel ragazzino, eppure non potevano essere più diversi: pareva sempre freddo e distante, ma se Sveno aveva un cuore bollente e istintivo, anche più di Rin, che a malapena riusciva a controllare, Arunte aveva impresso nella sua anima una tale gabbia alle sue emozioni che era ormai difficilissimo per lui o per quelli che gli stavano intorno rompere i confini che si era auto-imposto. Comunque, solo dopo alcuni tentativi riuscì ad aprire la porta che, con un cigolo, si spalancò. Un ragazzo dai ricci capelli biondi dormiva tranquillo sul suo giaciglio; il suo respiro leggero e tranquillo ricordò a Rinaldo quello del suo fratellino, tanto che dovette cacciare con violenza i suoi ricordi, prima che questi lo turbassero troppo e gli impedissero di agire. Quindi iniziò a preparare il suo teatrino: attorcigliò il filo semi-trasparente che aveva sottratto dal magazzino in quanti più oggetti della stanza riusciva, dai soprammobili in semplice legno al bauletto che si trovava proprio a due passi dall'ingresso; poi salì l'unica rampa di scale che conduceva alla stanza di Angela e si assicurò che non potesse essere aperta, bloccandola con una sedia. Fatto questo, dopo aver cosparso di tintura rossa le mani e le gambe sottili di Lucio, uscì nuovamente dalla stanza e socchiuse la porta davanti a sé, cosicché il garzone non riuscisse a vederlo mentre agiva.

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