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Simone non sente la mancanza del laboratorio di suo padre, anzi è più che sollevato quando l'uomo gli comunica, dopo quella settimana, che potrà tornare liberamente ai suoi studi ed alle sue attività fino a data da destinarsi. Tuttavia c'è qualcosa in lui che non gli permette di smettere di pensare al tavolino di Dino.

È come se dentro di sé avvertisse un solletico, un prurito che potrebbe placarsi solo se lui si decidesse a prendere la Vespa ed a raggiungere suo padre, Alberto e i loro bambini.

È in grado di resistere soltanto per tre giorni, poi la curiosità ha la meglio e suo padre se lo ritrova al laboratorio, seduto tra i bambini che stanno cercando di leggere insieme ad Alberto.

«Posso chiederti come mai sei qui o sarei indiscreto?» gli domanda, quando sono soli.

Simone fa spallucce, con la coda dell'occhio osserva Martino. Non ha raccontato a nessuno di quel pomeriggio, neppure al suo migliore amico Giacomo.

«Perché? Non posso passare a salutare mio padre?» dice, fingendosi indifferente.

Dante ride, cerca di non far rumore e non attirare l'attenzione dei bambini.

«Oh sì, perché è una cosa che tu fai sempre e che non è per niente strana. Soprattutto stare qui con loro... è una tua passione, vero?» dice, sbeffeggiando il figlio chiaramente infastidito.

Simone incrocia le braccia, sbuffa. «Me ne vado, va bene?» riesce a dire solo prima che suo padre gli afferri un braccio.

Ha un sorriso beffardo in volto quando si avvicina a lui e «ma che ti piace Alberto? Guarda che a me puoi dirlo.» esclama, divertito.

L'orrore che l'espressione di Simone trasuda dev'essere estremamente esilarante per suo padre, dato che inizia a ridere come una iena.

«Ma sei scemo, papà?»
«Che ne so, di sicuro il colpevole non può essere un bamb—» inizia a dire Dante, poi si interrompe e sorride come se avesse avuto l'idea del secolo.

«Il padre di un bambino! No! Simone! Ma un uomo sposato, dai...» inizia a farfugliare mentre Simone assume prima il colorito di un pomodoro e poi quello di un cubetto di gesso.

«Papà!» urla così forte da attirare l'attenzione di Alberto.

«Ora io me ne vado e tu la smetti.»

Simone lo saluta così e Dante continua a ridere.

Memore quindi di questa interazione, il ragazzo si astiene dal ritornare al laboratorio nei giorni successivi ma continua comunque a pensare a Martino.

In realtà continua a pensare a Martino e Manuel, ma cerca di soffermarsi sul primo.

È come se quel bambino avesse fatto scattare in lui qualcosa che ora non riesce a spegnere. Forse per questa ragione continua a cercare una scusa credibile per tornare al laboratorio senza destare sospetti senza però riuscire a trovarla.

E non sa se suo padre abbia avuto pietà degli sguardi che gli rifila quando esce di casa il pomeriggio o quella sia semplicemente la verità ma tre giorni dopo quel loro scambio di battute, Dante gli chiede gentilmente, ancora una volta, di affiancare Alberto per tutta la settimana in quanto lui sarà di nuovo impegnato a scuola.




Quando incontra per la seconda volta Martino, non si aspetta certamente che il bambino gli corra incontro lanciandosi sulle sue gambe.
È istintivo per Simone sorridere e scompigliargli i capelli mentre «ciao piccolino.» dice.

Capisce una cosa quel pomeriggio: Martino si affeziona in fretta e tende a credere di esser stato abbandonato se non vede più la persona con cui ha legato.

Il tavolino di DinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora